Nell’epistolario di Hegel e Niethammer, accanto alla celebre lettera del 13 ottobre 1806, in cui il futuro autore delle Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte dichiara tutta la propria ammirazione per Napoleone, per colui ovvero che, almeno in quell’attimo autoptico, ipostatizzava per il filosofo lo Spirito del Tempo, l’Idea universale fattasi e Atto e Individuo (“Ho visto l’imperatore – quest’anima del mondo – uscire dalla città per andare in ricognizione; è davvero una sensazione meravigliosa vedere un uomo siffatto, che, concentrato qui su un punto, seduto su un cavallo, si protende sul mondo e lo domina”), trova successiva collazione la missiva del 17 ottobre, in cui un Hegel meno entusiasta e senz’altro più prosaicamente preoccupato per le sorti del sé e del proprio lavoro (“Prima ancora della battaglia, le forze francesi hanno cominciato ad entrare nelle case con la violenza e a saccheggiarle. I soldati sono entrati anche nella casa dove abito […] Alcuni di loro mi hanno minacciato […]. L’incendio si è propagato a tutta la città e io mi sono infilato in tasca l’ultimo manoscritto della Fenomenologia da spedire a Bamberga […]. La guerra è il diavolo e nessuno se la sarebbe potuta immaginare così terribile”), ci offre una rara e preziosa testimonianza di quanto persino la più sublime e somma speculazione teoretica e complessa mediazione concettuale non possa mai né mai debba astrarsi e tentare rarefatta d’allontanarsi dall’incalzante immediatezza e umiltà dell’evento e della di esso concretezza dalla cogenza d’adeguata corresponsione intellettuale.
Chiamati dall’Assoluto del Reale a imporre l’ordinamento dialettico dell’Automovimento e la discretudine dell’oggettivazione analitica all’Erlebnis dell’accadimento pandemico, venturieri della Geistesgeschichte, qui rispondiamo.
Linguaggio, Comunità, Guerra
Dalle pristine aggregazioni sociali cosiddette preistoriche, sino alle Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte di Hegel, è lo Stato, la Res Publica, la Pólis, la Gemeinschaft a circoscrivere il “pomerium” dell’azione del singolo, limitandone le spinte individualistiche che tendono naturalmente a profligare quel “sacro” limite per “accumulare” quanta più “felicità privata” possibile, non semplicemente così danneggiando e depauperando un altrui indistinto, ma anzitutto la sua ipostasi organizzata istituzionalmente (e certamente circoscritta nello spazio da linee distintive che accomunano l’interno, altrimenti disperso e annullato nell’aoristia dell’Uno-metastorico, nella contraddistinzione dall’esterno).
Ma ecco che il nostro tempo – sommamente rivoluzionario – ribalta, o si illude di aver rovesciato, questo rapporto di forze, forse semplicemente narcotizzato dal loto della tecnica e del benessere.
E, nondimeno, ecco che nell’evento dell’estremo pericolo, l’Antico sembra tornare a reclamare il proprio diritto naturale di relazione gerarchica tra Popolo/Polis e Individuo/Cittadino.
Ed ecco, pertanto, lo spettro che terrorizza gli aedi del modernismo a trazione “Onu”, cioè, come sopra, a panopliale propulsione angloamericana, gli aedi e anzitutto i loro, da loro più o meno consaputi, mecenati: come potrebbe mai, infatti, un Mr Rothschild accumulare, da privato cittadino, capitali soverchianti i capitali di intere comunità, se la Comunità tornasse a soverchiare il singolo (nonché se le comunità, e i mercati, fossero molte, e molti, e non invece una, e uno)? Non potrebbe, semplicemente.
L’utile idiozia
del complotto permanente
A ogni compulsante piè sospinto lungo la Tabula Peutingeriana del ramificato pubblico nostro opinare, non si dà cippo che, accanto all’iscrizione consolare o imperiale, accosto ossia alla voce ufficiale del Potere, non riverberi l’eco degli esclusi da essa purpurea e pretesta ombra. Non deflagra materia, non sboccia manifestazione, non s’effonde morbo che non rechi seco, nell’agoramane propaggine “social” anzitutto, il contro-canto evocante il “Complotto del Potere”.
L’immediatezza e la ferrea regolarità dell’elevazione di tale epiclesi contrappuntistica consentirebbe liceità definitoria a colui che ravvisasse in questo fenomeno tipico del nostro mondo financo la genesi di un nuovo bio-tipo rivoluzionario, il “complottista di professione”, seguace della catechesi neo-trotskista che predica il “complotto permanente”.
Coreuti e Cretini
Dove inaudito ormai risuona l’estatico íakch’ò íakche, dove i bákchoi stormiscono, fascio e fremito al Dio del furore tributando e possessione di ritmo, dove la celeusma invocante il daímon di Demetra scandisce la processione che il Sacro stesso, custodito cataro, scorta a Eleusi; dove la ferocia beatifica della bakcheía omofaga, dove la ctonia dirompenza dell’órgia tumulta il suo ossequio di rivolta al Cosmo celeste, dove ora conduce l’oreibasía delle fiere menadi, il cui crine cupo in danza profetizzava per Shelley tempesta occidua?
Ma “a Eleusi han portato puttane”, e la Destra che leggeva Ezra Pound, Mircea Eliade, Rudolf Otto e Julius Evola ora eleva contesa contro l’avocazione dello Stato, dell’ipostasi ovvero della Comunità, di decidere e decretare la sospensione temporanea del chiuso consumare un godimento privato sterile, nichilista, lotofago, individualista, inautentico (e sostanzialmente ottuso), e ciò non certo per “totalitarismo etico”, per l’impressione paternalistica ossia di un’educazione al divertimento, non per didascalico etero-tropismo di coscienze, bensì semplicemente per tutelare la salute pubblica, il bene minimo e preliminare di ogni Pólis, la cui salvaguardia rappresenta una delle sue stesse costitutive ragioni d’essere.
“A Eleusi han portato puttane”, e forse “Solo un Dio può salvarci”; ma di certo non questa “Destra”, becera e illogica.
Proteggete i miei Padri
È il crepuscolo, e con la notte la morte presta piomberà sulla Comunità, vorace e voluttuosa molto, come un predatore acquattato nel folto oscuro. In quell’ora, il tremendo dell’ignoto scuote anche i più saldi tra i petti. D’improvviso il suono dell’umano immorsa in coriacità di cerchio respiri già sincopati, estromettendovi la tenebra e con saldezza della tenebra il terrore. È il più anziano del gruppo a parlare, colui che tanti soli ha sepolto, è lui ad ammansire il buio, ammantando di senso il mondo. È lui a rievocare l’Origine del tutto, l’ordinamento dell’Indistinto, è da lui che l’energia cosmogonica degli Antenati fondatori prorompe nell’avanguardia dell’attimo attuale.
Questi sono i nostri Padri, la congiunzione della filogenesi adamantina, che tutto avvolge e autenticamente subs-tiene. Questo è il loro valore, carne e ossa della Storia, ipostasi della tradizione. Loro è il mos maiorum, il costume antico che è già morale, assiologia, visione del mondo. Una società che li rispetta e protegge è una società che rispetta e protegge i propri fondamenti, la propria scaturigine, il proprio passato, la memoria che è già sangue. Una società che se ne prende Cura è una società che ha un Orizzonte, un Avvenire. Senza Storia l’Uomo non ha alcun Destino, e senza Destino l’Uomo è nulla. L’Uomo non è mai ente di Natura, egli è piuttosto l’Ex-centrico, “l’eterno protestatore contro quanto è soltanto realtà” (Max Scheler), il Negatore assoluto, endo-mediazionale e autoctico, dell’Essere stesso che da esso “sempre salvo” o eterno e principia e perisce.
Eroi intrepidi,
consumatori assuefatti
o nichilisti compiuti?
Nel movimento che sotto il nome di Rivoluzione Conservatrice ispirò le giovani generazioni del Primonovecento tedesco, la cosiddetta Kriegsideologie e la correlata sua religio mortis o pulsione tanatica trova certamente una collocazione capitale. La guerra è “gross und wunderbar” (Max Weber), il Conflitto discovre gli uni dei e liberi, gli altri decreta mortali e schiavi, e l’abisso dell’esistenza si rivela massimamente allorquando in gioco si dà la posta completa, ossia l’essere stesso dell’Esserci che ognuno di noi sempre è (Sein zum Tode).
L’eziologia di questo grande risveglio della “polemofilia” d’inizio ‘900 è presto diagnosticata: reazione all’imporsi dello stile di vita e dell’assiologia borghese dominante nella Belle Époque, in cui la “rassicurazione” dell’esistenza contro il rischio a cui l’essere stesso nel mondo getta rappresenta una fondativa cardinalità.
Pertanto, non appare filogeneticamente incoerente la posizione sostenuta, oggi, da molti epigoni di questa tradizione culturale: noi siamo ardimentosi, sdegniamo tirteamente la vita e ci gettiamo con D’Annunzio e Ulisse “nel turbo delle sorti”, mai dimentichi di sempre osare. Non temiamo epperò l’evento luetico, e non vogliamo consegnarci ai ceppi del Potere e dei suoi simboli di oppressione. Da anarchi reazionari, “passiamo al bosco”, ovvero affolliamo strade e locali pubblici e privati a volto scoperto, guardando senza orpelli protettivi la morte in faccia, afferrandola con le nostre mani nude e immacolate dal fluido smerciato dalle corporations chimico-farmaceutiche.
Bene, siamo orgogliosi che tale jungheriano afflato eroico ancora arda e riluca pur nel tempo della notte del mondo, in cui, per riprendere l’altro polo della dicotomia archetipica di Werner Sombart, l’Händler domina incontrastato, sull’Helden come sul mondo intero.
Nondimeno, ben consapevoli dell’essenza politropa e scaltra molto del “bio-tipo” nell’oggi imperante, ci sentiamo in dovere di ardire il tentativo d’indagine prospezionale del fenomeno suddetto, per scongiurare, persino in esso, la possibile infiltrazione del medesimo mercante, inoculazione certamente in grado di trasporre l’intrepidezza stessa di questi novelli eroi asservendola al suo Potere e alla di esso teleologia dell’esistere.
Pandemia:
Le vere colpe del Capitalismo
e del Moderno
Nel pubblico e forse troppo anepoptico opinare nostro coevo, nell’agorà globale ovvero in cui ogni epigono di Guglielmo Giannini ha una propria Teoria del Tutto, l’evento pandemico che a tutt’oggi ancora ingaggia l’umano, obbligandolo a una corresponsione autenticamente contrastativa o inautenticamente lotofago-negazionista, avrebbe potuto rappresentare un’occasione elettiva – giacché, heideggerianamente, è nel darsi della situazione estrema che l’essenza trans-luce corrusca, squarciando la coltre obnubilante del quotidiano (Alltäglichkeit) – di comprensione, anzitutto, dell’Orizzonte del Moderno e delle sue figurazioni; di critica e di contrasto, conseguentemente; di autentico oltrepassamento, in ultimo e auspicabilmente.
Invece, la diffusa e patente Hamartia, che ha finito per co-involgere gli stessi sedicenti oppositori de Il Potere del nostro Tempo (2023), ha saputo solo offrire opportunità ermenutiche dal sapore avverso, non di lotta epperò né di speranza, bensì di constatativa rassegnazione e perdurante sconfitta, ha potuto ossia esclusivamente concedere ostensione all’analitica che sa afferrare il pressoché ormai completo livello di omni-afferranza a cui il nostro attuale Orizzonte è pergiunto, avvolgendo entro sé (actu exercito) la stessa sua contraddittorietà (actu signato), per ciò e apparente e adiafora, tanto chiassosa quanto sterile.
La mutazione antropologia è compiuta, e la sottocultura al Potere ha assorbito la sottocultura all’opposizione. Sia a te lieve il sepolcro, Pier Paolo.
Creonte-Antigone,
Atene-Socrate,
Massachusetts-Thoreau
Mai come nell’orizzonte aperto dall’evento pandemico e dalla sua corresponsione politica, si è dato dibattito, anche giuridico, circa il fondamento del potere statuale, lo stato di ex-cezione, il rapporto tra legalità e legittimità, legge e coscienza, polis e cittadino, pubblico e privato, collettivo e individuale.
Poiché noi consideriamo il rovesciamo di questa relazione, la sua sovversione ovvero rispetto al millenario modo proprio di darsi ante tale evento cesurale rivoluzionario, una delle figurazioni che con-rispondono alla con-figurazione ontologica dell’Originario nel Tempo del Moderno, non possiamo non ulteriormente tornare sull’argomento, per ancora e meglio sistematizzarlo, almeno in intenzione.
Possiamo affermare anzitutto tripartizione nella disposizione lineare di un segmento che con-rela poli ob-posti: