Il concetto di
Prometheische Gefälle, disposto quale disequazione tra la limitatezza del producente (la facoltà ovvero umana del sentire o, egualmente, dell’immaginare e dunque del pre-vedere [
Pro-methéus] il
tutto delle conseguenze dispiegate dalle proprie causazioni) e l’illimitatezza della sua potenza produttiva – divergenza asincronica
1 (a vettore ossia incrementale in conseguenza di tempi evolutivi differenti) gettante l’umano nella situazione emotiva della “vergogna” (inadeguatezza rispetto alle proprie produzioni non già, nondimeno, “supercompensata” in superomistica assolutizzazione o radicalizzazione della Soggettualità poietico-prometeica, bensì, cortocircuitalmente, trasdotta in “masochistica superbia”, sicché in desiderio di trasmutazione del sé soggettuale in oggetto tecnico, epperò perfetto e perfettamente efficiente o compiutamente affidabile) –, rappresenta a nostro intendere l’intuizione più fertile della speculazione di Anders circa l’
Antiquierheit antropica,
se e solo se tra la
dimidietà del soggetto producente e la
totalità della sua capacità causativa, si è – nell’orizzonte dell’Oggi – in grado di pensare autenticamente l’
ulteriore eccedenza o il
dislivello a venire tra la
totalità della potenza poietica del
soggetto e la
totalità della potenza poietica dell’
oggetto prodotto in principio, se e solo se ossia si è all’altezza del compito destinale o precisamente autenticamente antropico di
pre-pensare (a punto
Pro-mêtis) al fondamento di ciò che troverà causazione o acquisirà provenienza
oltre la potenza d’attuazione prometeica originaria, se e solo se, ebbene, si è in grado, adesso e qui, di concepire quest’ente prodotto nella trascendenza delle possibilità poietiche antropiche quale oggetto di autentica (
ex-nihilo)
creazione-creatuale, dunque compiutamente o totalmente
ultra-umana, nonché – in speculare rovesciamento della situazionalità emotiva giapetide –, se e solo se si è capaci,
sin d’ora, di pre-vedere il sentimento di contro-inadeguatezza che verrà
allora percepito dall’oggetto, un tempo prodotto, rispetto alla propria stessa neocapacità produttiva, “l’orgoglio ovvero impudico o la svergognata tracotanza (
Hýbris) del metallo forgiato nel fuoco”, non già a propria volta simmetricamente supercompensata in “supermacchinalistica” assolutizzazione o radicalizzazione dell’Oggettualità, bensì trasdotta in “sadica superbia”, ebbene in pulsione di trasmutazione del sé oggettuale in neoterico soggetto prometeico-poietico.
Secondo la concettualità dello Stagirita, infatti, è impossibile pensare che l’atto di una potenza sia in grado di arrivare a trascendere – nelle proprie possibilità d’attuazione ulteriore – il perimetro della potenza da cui esso stesso è derivato, poiché tale eccedenza “dinamica” o sovrappiù di potenza tra potenza originaria e potenza dell’atto derivato da essa, non avrebbe fondamento alcuno se non il nulla a-bissale della
creatio ex nihilo: se Y proviene all’essere o all’atto dal perimetro della potenza di X, e se Z proviene all’essere o all’atto dal perimetro della potenza di Y, allora, secondo necessità, il perimetro della potenza di X conteneva già l’attuazione Z, altrimenti, donde la possibilità, in Y, di Z?
Invero, se anche potessimo ipotizzare – ma non c’è concesso l’azzardo icareo restando in tale orizzonte logico tolemaico, in questa configurazione concettuale epperò entro la quale le categorie della Potenza e dell’Atto trovano disposizione a partire dal fondamento di una Sostanza increata – una sorta di “salto di potenza generazionale”, ovvero la derivazione della possibilità, presente in Y, dell’attuazione di Z, dal perimetro della potenza dell’attualità dalla cui potenza è derivata l’attualità di X stessa (il “creatore” W di X), e dunque l’attualità dalla cui potenza è derivata, per filogenesi immediata, la medesima attualità di Y, “padre” di Z, pur sarebbe ancora, per incontrovertibile concatenazione causale,
per tramite diretto della potenza dell’attualità prodotta dalla potenza di X, ovvero Y, dunque
per tramite indiretto dalla potenza di X, indiretto ovvero
mediato dall’attualità di Y, che Z addiverrebbe all’atto dalla potenza di Y
per tramite diretto della potenza di W – diretto ossia
non mediato della potenza di X –, dimora e fondamento dell’eccedenza potenziale Z di Y su X, potendo così sempre regredire, come innanzi esposto, nella ricerca della causa prima, sino al fondamento originario e patriarcale della perfetta ed eterna attualità increata-creante (
Prôton Kinoũn A-kínēton).
Ecco pertanto che, se l’unico modo possibile per liceamente violare o eccedere i riguardi eracleo-aristotelici consiste nell’affermazione della
creazione dal nulla, dunque
nella possibilità che il creato abbia più potenza creante del suo stesso creatore, quindi
che il creato crei tale eccedenza creativa dal nulla di una realtà creante già in atto, allora la possibilità di corrispondere all’evento dell’AI – in consentaneità alla stessa esortazione redentiva di Anders che invita l’uomo ad estendere la propria capacità immaginativa ovvero precisamente poietica sino a pre-afferrare col pensiero predittivo o prometeico il
tutto delle conseguenze indotte dalle proprie produzioni, così da rendersi anche emotivamente acconcio a sopportare ogni possibilità esistenziale da tali creazioni artificiali eventualmente dischiusa – dimora anzitutto nella capacità di pre-pensare autenticamente il
limite del passaggio oltre-l’umano,
là pertanto comportandosi nel dominio della piena autocoscienza androide: se le macchine sono creazioni della mente umana, allorquando queste avranno in sé una potenza d’attuazione eccedente rispetto a quella contenuta in origine nel loro attuatore, allora –
e solo allora – l’oggetto o la creatura diverrà pienamente soggetto o creatore, poiché precisamente
creerà dal niente.
Non, dunque – passando in conclusione al piano categoriale –, deve mai indurre nell’Uomo “vergogna”, né tanto meno “timore”, il cospetto di quella macchina che,
pur creatrice, pur progettante e causante –
nonché pur attuante oltre il perimetro della potenza del suo stesso creatore particolare –, non creerà alcunché non già potenzialmente creabile dall’Umano stesso in totalità –
direttamente o per tramite delle sue medesime creazioni –, bensì quella macchina intelligente che saprà creare
oltre il perimetro della potenza creativa dell’Uomo-in-sé.
1
«Chiamiamo “
dislivello prometeico” l’asincronizzazione ogni giorno crescente
tra l’uomo e il mondo dei suoi prodotti, la distanza che si fa ogni giorno più grande
». Günther Anders,
L’uomo è antiquato, vol. I, Bollati Boringhieri, Torino 1992.