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Filosofica del 900
Rivoluzione
Conservatrice

Categorie
Rivoluzione
Conservatrice
Nicolaus Sombart

Ernst Jünger.
Un dandy nelle
tempeste d'acciaio 2020

Edizione: Bietti, Milano 2020
In, Alberto Iannelli, Dieci saggi sulla Rivoluzione Conservatrice, Orizzonte Altro Edizioni, 2023
Testo originale
► ► ►
La struttura del breve ritratto e della di esso nostra scomposizione (analýō), si inscrive e inscriverà, pertanto, nella figura dell’endiadi, ovvero nella convergenza-dei-divergenti: Jünger sintesi del guerriero e del dandy, Jünger kallísten armonían della diade dei discordi, Jünger ipostasi del pólemos eracliteo. Principiamo dunque nel dare manifestazione all’eĩdos dell’eroe germanico e del dandy anglo-francese, per dipoi verificare – protetti proprio dal venerando padre dell’autore – se detta epiclesi d’essenze antinomiche dimoranti nei precordi jüngeriani, non conduca all’escussione di una generale dissecazione della stessa anima comune europea del Novecento.

[…]

Ci sentiamo a questo punto in dovere di sostare lungo il dire di N. Sombart per dichiarare dissenso circa l’impressione del carattere dell’Herrschaft che, secondo l’autore, il Dandismo avrebbe nell’endiadi jüngheriana. Non solo, infatti, noi riteniamo – ove certamente non possiamo che fondare tale contrarietà esclusivamente nella presupposizione di una sensibilità inferenziale nell’occorrenza più fausta e fortunata, e non certo su una maggiore nostra conoscenza e dell’autore sull’autore, e, ancor meno naturalmente, dell’autore sull’uomo – che sia l’elemento germanico, per così semplificativamente dire, sub specie genii loci, a porsi giacché primaziale rispetto all’intimamente contraddittorio “cosmopolitismo così peculiarmente anglo-francese”, ma sosteniamo l’inadeguatezza della stessa predicazione dandistica attribuita al soggetto Jünger.

Certo, l’eroe fu entomologo, il guerriero votato-alla-morte e all’autenticità esistenziale fu salottiero adepto del “Man” nella Parigi occupata, l’anarca individualista che “passa al bosco” e “fa parte per se stesso” fu colui che stilizzo l’Arbeiter quale forma neoplatonica, prototipo epperò – tanto omologato quanto universale – del tempo della Gestell, l’asceta da trincea fu lo sperimentatore di psicotropici e lisergici “Avvicinamenti” estatici ed ebbri, e, ancora e infine, il romanziere dallo stile entelechiale, perfetto, netto, algido e dissezionale fu il diciottenne sconquassato dalla potenza del Materiale; ma, nondimeno, pur tutti questi contrasti noi riteniamo trovino risultante sintetica e quiescenza nell’Uno che dice dell’essenza dell’Held indoeuropeo: imposizione di forma-alla-materia, coimplicazione di Ordine-e-Caos, Erde und Himmel, die Gottlichen und die Sterblichen. È questo, infatti, il tratto enadico che peridelinea l’eĩdos jungheriano: più il Caos, l’immanenza tellurica, la potenza ctonia primordiale della Vita e della Physis assalta titanicamente l’Olimpo, più l’“Ordigno” si fa menade feroce, più la “Materialschlacht” si scatena come tempesta occidua d’acciaio sull’uomo, più la “Téchne” prometeica è slegata dai ceppi adamantini di Zeus e condotta all’assalto abnorme, “thaumatico”, all’hybris che osa capaneicamente sovrappone il Pelio all’Ossa per scalare il Cielo, più l’inconcussione dell’eroe cosmizzatore – atremido contro il tumulto impetuoso dell’Inferno e dell’Informe stesso – conquista l’amplia gloria che (con-)giunge al vasto Urano: Kléos Ouranòn ikánei.

[…]

Qui si dispiega l’endiadi di Jünger, ciò con-lega – nell’essenza, nel Geviert – lo stesso Sturm und Drang e l’Urform di Goethe e parimenti conferisce piena significazione e fondamento alla relazione amico/nemico di Carl Schmitt, questo dice dell’anima primigenia stessa indoeuropea, a un tempo apollinea(Én)-e-faustiana(Dyás), ovvero, unidualmente, eneide.

[…]

Tuttavia, dopo aver doverosamente ciò puntualizzato circa la complessa figura jüngeriana, proviamo ora a prendere per valida e veritiera la diade Eroe-Dandy di N. Sombart, al fine di accertare se tale opposizione, pur, come dimostrato, impropria per l’entomologo di Heidelberg, non ne celi in verità una più arcana e maggiormente antricola, una contrapposizione epperò archetipica per la storia europea moderna, perlomeno dal ‘600 sino al 1945, già espressa dalle opere Terra e Mare, di Carl Schmitt, e Mercanti ed Eroi, dello stesso Werner Sombart, qui precedentemente escusse.

Il dandy – tanto nell’affettato suo darsi esteta, quanto nel proprio mostrarsi superomista, così ovvero in veste sperelliana come fiumana, e anche quanto ardito, e se veloce, interventista igienizzatore e illiminante al neon la Mondlicht strapaesana, e certamente mai dimentico di sempre osare, nonché allorquando individualista che anela ad acconciare l’esistenza propria eccezionale col belletto dell’irripetibilità artistica – non è null’altro che, per riprendere la dicotomia archetipica di Werner Sombart, un’ipostasi per postura esistenziale dell’individualismo dell’Eroe faustiano nel Tempo del Mercante, quindi nel segmento in cui l’autenticità esordiale trasmuta in inautenticità refluente, quella Kultur (gotica) in questa Zivilisation (manchesterina) o, a punto, riedendo all’iniziale sizigia di Nicolaus, la giovinezza seminale del Guerriero nella senescenza sterile del Dandy. Ma, se ciò può esser forse vero e valere, concordiamo, per Gabriele D’Annunzio o Filippo Tommaso Marinetti, di certo non afferra, come predetto, perlomeno nell’opinione di chi scrive, i precordi endiadici di Ernst Jünger, come invece sarebbe in grado di compiere colui che si rivolgesse – per compenetrarli – allo stesso Porfirio e in generale alla dialettica neoplatonica, e tutta indoeuropea, Hýle kaì Morphé, Dia-stole-e-Sis-tole.
© Orizzonte
Altro

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Rivoluzione
Conservatrice
Nicolaus Sombart
Ernst Jünger.
Un dandy
nelle tempeste d'acciaio

2020

Edizione: Bietti, Milano 2020
In, Alberto Iannelli, Dieci saggi sulla Rivoluzione Conservatrice, Orizzonte Altro Edizioni, 2023
Testo originale ► ► ►

La struttura del breve ritratto e della di esso nostra scomposizione (analýō), si inscrive e inscriverà, pertanto, nella figura dell’endiadi, ovvero nella convergenza-dei-divergenti: Jünger sintesi del guerriero e del dandy, Jünger kallísten armonían della diade dei discordi, Jünger ipostasi del pólemos eracliteo. Principiamo dunque nel dare manifestazione all’eĩdos dell’eroe germanico e del dandy anglo-francese, per dipoi verificare – protetti proprio dal venerando padre dell’autore – se detta epiclesi d’essenze antinomiche dimoranti nei precordi jüngeriani, non conduca all’escussione di una generale dissecazione della stessa anima comune europea del Novecento.

[…]

Ci sentiamo a questo punto in dovere di sostare lungo il dire di N. Sombart per dichiarare dissenso circa l’impressione del carattere dell’Herrschaft che, secondo l’autore, il Dandismo avrebbe nell’endiadi jüngheriana. Non solo, infatti, noi riteniamo – ove certamente non possiamo che fondare tale contrarietà esclusivamente nella presupposizione di una sensibilità inferenziale nell’occorrenza più fausta e fortunata, e non certo su una maggiore nostra conoscenza e dell’autore sull’autore, e, ancor meno naturalmente, dell’autore sull’uomo – che sia l’elemento germanico, per così semplificativamente dire, sub specie genii loci, a porsi giacché primaziale rispetto all’intimamente contraddittorio “cosmopolitismo così peculiarmente anglo-francese”, ma sosteniamo l’inadeguatezza della stessa predicazione dandistica attribuita al soggetto Jünger.

Certo, l’eroe fu entomologo, il guerriero votato-alla-morte e all’autenticità esistenziale fu salottiero adepto del “Man” nella Parigi occupata, l’anarca individualista che “passa al bosco” e “fa parte per se stesso” fu colui che stilizzo l’Arbeiter quale forma neoplatonica, prototipo epperò – tanto omologato quanto universale – del tempo della Gestell, l’asceta da trincea fu lo sperimentatore di psicotropici e lisergici “Avvicinamenti” estatici ed ebbri, e, ancora e infine, il romanziere dallo stile entelechiale, perfetto, netto, algido e dissezionale fu il diciottenne sconquassato dalla potenza del Materiale; ma, nondimeno, pur tutti questi contrasti noi riteniamo trovino risultante sintetica e quiescenza nell’Uno che dice dell’essenza dell’Held indoeuropeo: imposizione di forma-alla-materia, coimplicazione di Ordine-e-Caos, Erde und Himmel, die Gottlichen und die Sterblichen. È questo, infatti, il tratto enadico che peridelinea l’eĩdos jungheriano: più il Caos, l’immanenza tellurica, la potenza ctonia primordiale della Vita e della Physis assalta titanicamente l’Olimpo, più l’“Ordigno” si fa menade feroce, più la “Materialschlacht” si scatena come tempesta occidua d’acciaio sull’uomo, più la “Téchne” prometeica è slegata dai ceppi adamantini di Zeus e condotta all’assalto abnorme, “thaumatico”, all’hybris che osa capaneicamente sovrappone il Pelio all’Ossa per scalare il Cielo, più l’inconcussione dell’eroe cosmizzatore – atremido contro il tumulto impetuoso dell’Inferno e dell’Informe stesso – conquista l’amplia gloria che (con-)giunge al vasto Urano: Kléos Ouranòn ikánei.

[…]

Qui si dispiega l’endiadi di Jünger, ciò con-lega – nell’essenza, nel Geviert – lo stesso Sturm und Drang e l’Urform di Goethe e parimenti conferisce piena significazione e fondamento alla relazione amico/nemico di Carl Schmitt, questo dice dell’anima primigenia stessa indoeuropea, a un tempo apollinea(Én)-e-faustiana(Dyás), ovvero, unidualmente, eneide.

[…]

Tuttavia, dopo aver doverosamente ciò puntualizzato circa la complessa figura jüngeriana, proviamo ora a prendere per valida e veritiera la diade Eroe-Dandy di N. Sombart, al fine di accertare se tale opposizione, pur, come dimostrato, impropria per l’entomologo di Heidelberg, non ne celi in verità una più arcana e maggiormente antricola, una contrapposizione epperò archetipica per la storia europea moderna, perlomeno dal ‘600 sino al 1945, già espressa dalle opere Terra e Mare, di Carl Schmitt, e Mercanti ed Eroi, dello stesso Werner Sombart, qui precedentemente escusse.

Il dandy – tanto nell’affettato suo darsi esteta, quanto nel proprio mostrarsi superomista, così ovvero in veste sperelliana come fiumana, e anche quanto ardito, e se veloce, interventista igienizzatore e illiminante al neon la Mondlicht strapaesana, e certamente mai dimentico di sempre osare, nonché allorquando individualista che anela ad acconciare l’esistenza propria eccezionale col belletto dell’irripetibilità artistica – non è null’altro che, per riprendere la dicotomia archetipica di Werner Sombart, un’ipostasi per postura esistenziale dell’individualismo dell’Eroe faustiano nel Tempo del Mercante, quindi nel segmento in cui l’autenticità esordiale trasmuta in inautenticità refluente, quella Kultur (gotica) in questa Zivilisation (manchesterina) o, a punto, riedendo all’iniziale sizigia di Nicolaus, la giovinezza seminale del Guerriero nella senescenza sterile del Dandy. Ma, se ciò può esser forse vero e valere, concordiamo, per Gabriele D’Annunzio o Filippo Tommaso Marinetti, di certo non afferra, come predetto, perlomeno nell’opinione di chi scrive, i precordi endiadici di Ernst Jünger, come invece sarebbe in grado di compiere colui che si rivolgesse – per compenetrarli – allo stesso Porfirio e in generale alla dialettica neoplatonica, e tutta indoeuropea, Hýle kaì Morphé, Dia-stole-e-Sis-tole.