Pressoché ogni storiografia evenemenziale redatta negli ultimi settant’anni concorda nell’applicare la ferrea legge newtoniana di azione-e-reazione ai due conflitti mondiali del Novecento, attuandola altresì con nettezza manichea e senza dubbio alcuno circa gli attori della relazione bipolare: il bellicismo prussiano e la volontà di potenza hitleriana hanno causato l’aggressione alle democrazie liberali, le quali, così e giacché assaltate, non altro hanno potuto adire se non a punto il re-agire difensivamente.
Sentendoci parimenti certi nell’affermare l’arrestarsi, più o meno fazioso o superficiale, e anzitutto semplicistico, di dette sclerosi di verità viepiù universalmente riconosciute, presso ciò che immediatamente si mostra nel simmetrico celare l’adito mediale all’effige del proprio fondamento, qui eziologico, tentiamo la prospezione di verità ulteriori e financo ormai inaudite, altre ossia maggiormente propinque all’idea dell’Originario, interrogandoci sul possibile esserci, indubbiamente più atro e carsico, di un’antecedente causazione il rinvenimento della quale non differente risultato apporterebbe alla nostra indagine se non il trasdurre l’azione dei totalitarismi liberticidi in reazione ad un’azione ancora anteriore ossia longinqua (qui, invece, non si darà questione, ben inteso, circa la iusta pars, la Storia avendo ciò già decretato e deciso, imprimendovi il carattere dell’irreversibilità che precisamente le conferisce essenza, bensì tentativo di inquadramento degli eventi entro una precisa linea di sviluppo che sola possa portare a manifestazione il rapporto causale posto sotto indagine, in modo che questo tracciato evolutivo consenta alfine di disvelare della Storia stessa la precordiale propria e la più prossima destinazione).
[…]
“Come? Esiste allora una diretta filogenesi tra la Rivoluzione francese e la Prima guerra mondiale, quasi che essa ne rappresenti un’ulteriore battaglia inverante? E perché i mercanti sono associati, in queste drammatizzazione archetipica e contrapposizione manichea, ai rivoluzionari giacobini, non sono forse essi degli eroi, i più grandi tra gli eroi, ossia coloro i quali hanno donato al mondo – istituendole persino de iure una volta per sempre e inalienabilmente per tutti, nolentes tracti compresi – libertà, uguaglianza e fratellanza?”
Ci domandiamo, così, con quanto sconcerto e quale stupore potrebbero reagire, concluso con profitto e orgoglio il proprio cursus studiorum storico, degli studenti liceali fieramente europei del 2023, a tali parole provenienti da un tempo che verosimilmente parrebbe loro, parimenti a esse, così remoto come altro, estraneo tanto quanto un exercitium ignaziano. Probabilmente i più, eccessivamente destabilizzati, chiuderebbero semplicemente questo agile e agguerrito volume di Sombart, additando e questi come folle, sovversivo, reazionario, e quello giacché esclusivamente propagandistico, prole d’Enialio.
Ma noi, in concento alla stessa dedicatoria sombartiana, ci rivolgiamo ai migliori tra loro, ai più intrepidi, a coloro ossia che sanno eroicamente osare anche e soprattutto contro le più inveterate e invitte evidenze del proprio tempo.
[…]
Torniamo ora e per un attimo a disporci nell’ottica dei nostri promettenti e ardimentosi studenti liceali, là fuori, davanti a quel nemico che taluni appellano – con non contingente anglofonia – mainstream storiografico, tanto accademico quanto manualistico, per provare a esplicitarne le possibili inferenze sorte dalla collazione dei passi citazionali sin qui espressi:
“Se i mercanti inglesi in lotta contro gli eroi tedeschi nel secondo decennio del Novecento sono gli epigoni dei rivoluzionari francesi, e se la concezione mercantile del mondo, attestata almeno a partire dall’Inghilterra di fine Seicento, antecede quell’evento considerato dalla suddetta intellighenzia annalistica cesurale tra modernità e contemporaneità, quale relazione intercorre tra lo sviluppo di questo spirito e lo scoppio di quella rivoluzione?”
[…]
Da una parte, ebbene, un individualismo centrato sulla conservazione oltranzistica del sé, della propria vita e dei suoi “comforts”, piacevolezze sensoriali e divertissement mondani (Gesellschaft), utilitaristicamente e pragmaticamente chiuso a ogni dimensione che trascenda la matericità e l’estesia pienamente godibile per tutta l’estensione della propria esistenza singola; dall’altra, la profonda consapevolezza dell’esserci – anzitutto – di una dimensione super-individuale, sive comunitaria (Ge-meinschaft), sull’ara della cui primazialità l’individuo ha il compito di sacrificarsi, ove necessario, al fine di mantenere aperta la disponibilità di quella dimensione ulteriore (Ge-schichte) che sola possa garantire e concedere all’individuo stesso i suoi più propri ultimi pienezza e compimento, l’e–strema epperò destinazione (Ge-schick) dell’autentico e dell’irripetibilmente unico dunque esclusivo ed eccezionale (Held) esistere.
Ci sentiamo nondimeno in dovere di sceverare queste posizioni “spirituali” antipoidee e alternative dalla contingenza del nazionalismo di guerra e dei suoi eccessi, per ricondurle – come lo stesso Sombart compie – a due Weltanschauung di certo non e mai meta-storiche, ma senz’altro dal più vasto cronotopo di manifestazione e vigenza, uno spaziotempo diffusionale in verità sì amplio da poterle considerare sussistenti pressoché trans-storicamente: basterebbe rammentare, infatti, tra le moltissime occorrenze, le parole con cui Turno schernisce e disprezza Dracne dinnanzi all’assemblea dei Latini, a tacer poi dell’origine pompeiana del suddetto motto bremese, per comprendere come queste due opposte disposizioni d’animo immorsino con il loro confliggere “esistenziale”, nonché, certamente, con la concretezza degli ordinamenti e degli orientamenti politici e culturali da loro discesi, buona parte della storia tutta dei popoli indo-europei, da primordio funzionalmente tripartiti e così sempre negli areali temporali postdiasporici, almeno sino all’evento cesurale qui considerato figura dell’adempimento primonovecentesco.
[…]
Vi è una linea diretta e incontrovertibile di sviluppo, una vena senz’altro in principio carsica e nonpertanto nell’Oggi via via affiorante all’essoteria e alla presa preclara del concetto (cum-capĕre, Be-greifen), un meato ipogeo che collega e coalesce tra loro, da un lato, la sorgenza, anzitutto nei Comuni dell’Italia centro-settentrionale e della Germania meridionale, di rivendicazioni politiche ovvero di pretese di riposizionamento entro l’ordo gentium inveterato, avanzate dal ceto neoaffaristico e protoimprenditoriale; la nascita delle banche private e l’uso della partita doppia contabile; i capitali viepiù ingenti accumulati dalle compagnie commerciali nell’aprirsi delle rotte transoceaniche; l’affacciarsi delle società per azioni nella rivoluzione finanziaria olandese del XVII° secolo; e, dall’altro, il sensismo e l’empirismo, il liberalismo e il parlamentarismo inglesi e seicenteschi; l’illuminismo, l’universalismo giusnaturalistico e l'esprit des lois della Francia e del Settecento; la nascita dell’opinione pubblica e del giornalismo, del romanzo e del suffragismo: contro tutto ciò – e contro il loro orizzonte di ulteriore inveramento primonovecenteso presso la democrazia liberale anglo-franco-americana e tutto il suo portato, anche culturale e spirituale –, la Germania si erse a difesa dell’antico deposto. A ciò re-agendo, cadde sconfitta, trascinando nella polvere l’Antico stesso, pur certamente riadeguato e riplasmato secondo attualità ed eventualità d’oscillazione diacronica.
Non si tratta certo, per noi, ora, s’è detto, di piangere o di celebrare la sconfitta o la vittoria: così è andata, epperò così, dall’avanguardia nostra prospettica, doveva andare, l’ordinarsi storico (katà tò próteron kaì hýsteron) su tutto avendo paternità e su tutto signoria, degl’uni decretando il trionfo, degl’altri la disfatta (infatti, per quanto l’orientato [Télos] e l’armonico [Dia-kósmēsis] accadere nel Tempo, ovvero lo scandirsi e il susseguirsi lungo il sentiero del Giorno, di Ere ed Epoche corrispondenti alla struttura endiadica dell’Originario, sia stato da noi disposto secondo necessità, l’esito immediato delle singole battaglie – tanto trincerali [Materialschlacht] quanto politiche – permane nel dominio aleatorio della Nöte: “Fato è lancio di dadi, giudica Ares”).
Si tratta piuttosto di comprendere – ed è precisamente questa la pars costruens della nostra sovra evocata “missione di dotti” – quale sia la filogenesi del nostro attuale orizzonte politico, giuridico, sociale, economico, spirituale, culturale e financo antropologico, quali i suoi fondamenti e le sue premesse, quali la sua origine e causazione: solo così potremmo, infatti, compiere la pars destruens ossia l’oltrepassante del nostro destino storico, se ancora uno a noi ne permane, se ancora ovvero uno spazio di alterità e un tempo di ulteriorità è disposto a schiudersi.