MEG: According to Darwin’s “Origin of Species”, it is not the most
intellectual of the species that survives; it is not the strongest that survives;
but the species that survives is the one that is able best to adapt
and adjust to the changing environment in which it finds itself. Applying
this theoretical concept to us as individuals, we can state that the
civilization that is able to survive is the one that is able to adapt to the
changing physical, social, political, moral, and spiritual environment
in which it finds itself.
Istituitasi piuttosto la Contingenza (poíesis ek toû mè óntos eis tò ón) quale contenuto distintivo dell’immanenza che tutto pre-co-in-volge nel proprio pro-cesso di im-pressione al sé del contro-carattere di necessità o identità in-controvertibile; istituitasi altresì la necessità del Pro-in-staurante-si, parimenti dell’Uno in-sé
Pro-lessi, di delegare l’incombere del compimento suo primo o
trascendentale all’ulteriorità della propria stessa fondazione archea, ebbene pro-postosi già in principio il dischiudimento della
possibilità trascendentale dell’esserci, dell’autentica ovvero decisione, in capo all’ente esistentesi, per la ri-assunzione in-sé
del Tutto (Gravitas), del solo suo co-essenzialmente liceo epperò offrirsi quale ipostasi o sostegno dell’incentro (Geviert) del Divenimento archeo-escate (“misi me per l’alto mare aperto”, “nel turbo delle sorti”); istituitosi, ancora, il disvelamento del clangore (Hojotoho!), che risuona in ogni intra-processuale esistenza distinta, al massimamente pro-tendere la per-sistenza del sé attraverso del sé distinguentesi o conquistantesi la massima distinzione o conquista (Ónto-Génesis), quale compito di contraddistinzione del sé dell’Originario in-sé del-sé-Pro-cesso-di-conquista, quale altresì transcendentale dovere (Sollen) suo di identitario adempimento ed esaustione promesso o demandato a ogni conseguente o gettata esistenza, delle esistenze attraverso il disvolgersi progressivo
(Phylé-Génesis); istituitasi, in ultimo, e destinalmente già da principio, la dimora elettiva od orizzonte della massima persistenza nel divenimento estremo dell’Originario a sé, dimensionalità inseitale o arche-gene (Ge-schichte) in cui trova e comprensione e fondamento la stessa deuteriore realtà del Mondo (Physis), del Tutto, dell’Eterno e della stessa Morte inautenticamente affermata quale inseità essa stessa imperitura o dimorante al di là dell’omni-avvolgentesi destinazione alla determinazione; è davvero possibile
porre quale fondamento autentico dell’evoluzione o disvolgimento
teleologico degli enti esistentisi o da sempre gettati nella presa
della possibilità dell’omni-riassunzione decisionale licea (Geist),
la maggiore capacità di corrispondenza alla deuteriorità o la migliore facoltà di adattamento a essa, se essa stessa conseguente realtà o seconda acquisisce realtà e distintività, esistenza ed essenza, causa e ragione d’essere, fondamento e identità esclusivamente attraverso la compartecipazione negativa a detta realtà prolettica prima che già nel proprio costituirsi delega a queste stesse esistenze omo-nome o auto-risceglientisi la presa in carico (Gravitas) del proprio compimento identitario, del suo lascito trascendentale altrimenti?
O non saranno forse coloro che con-rispondono all’epiclesi oricalchica della destinalità originaria, evocandosi alla massima determinazione del sé, adergendosi egualmente del sé alla conquista di esclusività (“hac - ait - in Thebas, hac me iubet ardua virtus / ire, Menoeceo qua lubrica sanguine turris”. [...] dicit, et alterno captiua in moenia gressu / surgit ouans), del solo proprio sé altresì decidendosi per la caducità (Sôma, Physis) (stat tamen, extremumque, in sidera versus, anhelat), di esso sé nell’attuazione distintiva, del tratto (Sêma) del sé (Geist, Ge-schichte) nella co-implicantesi epperò elezione all’eternazione (ille iacet lacerae complexus fragmina turris, / torvus adhuc visu, memorandaque facta relinquens / gentibus, atque ipsi non inlaudata Tonanti), a realmente pro-porsi quali autentici soprav-viventi, quali autentici ossia oltre[-sé]-viventi nella Storia,
quali in ultimo gli unici veramente adatti (Einherjer) alla grandiosità della caduta occidua (Ragnarøkkr) nella cui insistente (Sein) protensione (Sollen) si annuncia (Sich-melden) e dischiude (Erschlossenheit) l’autenticità (Eigentlichkeit) dell’ex-sistere pro-lettico (Zu-kunft, Vorlaufen) nostro?
Si analizzi dunque, esemplarmente, il mito norreno delle Valchirie:
esse non si limitavano a traghettare i caduti in battaglia, conducendoli da un mondo a un altro, né a decretarne l’ineluttabile loro tributo al fato (mitologemi invero agilmente rintracciabili in molte altre sillogi diegetiche di genti fondative), bensì loro funzione essenziale, quali spiriti guerrieri, era il cimento, l’ex-citazione (*wat-) ossia dei combattenti più valorosi eletti da Odino - proprio in virtù del valore e dell’ardimento guerresco dimostrato - affinché, esattamente così infervorati effondendo il loro slancio massimo, trovassero termine di vita e potessero divenire Einherjar e combattere a fianco dello stesso
sovrano del vasto (*weru-nos) e furente (*wotuz) cielo contro le forze della dissoluzione, nel tempo del Ragnarøkkr.
Ebbene, se consideriamo ciò, e se consideriamo altresì la centralità
“gravitazionale” di quell’archetipo, fonte di ispirazione, direzione
e orientamento ai popoli dalla cui poiesi è sorto, ecco che il “darwinismo” (sociale o biologico), come ogni altra “evidenza empirica” (si è detto nell’Isagogia), prima ancora di essere posto lungo il piano binario veridicità/non-veridicità scientifica, ci ad-pare anzitutto dover essere compreso entro l’orizzonte in cui è stato concepito, diffuso, ricevuto: l’intorno prospettico del “mercatismo” inglese del XIX° secolo, ove la conservazione e la rassicurazione della vita assumono un valore e un ruolo centrali e cardinali nell’avvolgimento assiologico di quella società,
non avrebbe potuto certamente produrre il suddetto mito, invece verosimilmente elaborato entro l’intorno prospettico-valoriale degli Helden norreni, intorno particolarizzatosi e distintosi dopo la diaspora tardo-antica delle genti germaniche (e già, filo-geneticamente, indo-germaniche), bensì poteva senz’altro produrre, come è a punto avvenuto, l’evidenza scientifica darwiniana.
Detto epperò della necessaria relazione tra intorno prospettico
(Weltanschauung) e mito-poiesi (o, egualmente, teticità scientifica), detto ossia e ancora dell’intrascendibile gettatezza dell’umano nell’orizzonte dell’umano, ovvero nell’orizzonte storico, ciò che siamo sempre chiamati con cogenza a compiere, ogni volta o per ogni occorrenza a punto dell’umano concepire e agire, è il tentativo di collocazione degli eventi lungo il proprio asse teleologico di incedimento e sviluppo, ebbene il tentativo di collocazione nostro, noi essendo e con necessità sempre l’avanguardia della Storia.
Pertanto: sul fondamento della concezione uni-duale e intrinsecamente agonale dell’epopea dell’Uomo espostasi nella medesima Isagogia, non possiamo qui altro se non anticipare l’affermazione circa l’essere - essenzialmente - la teoria darwiniana uno dei frutti del riflesso vizzo (Zivilisation) dell’epoca faustiana dell’Era della Deuteriorità, a fronte dell’essere il mito norreno una delle gemmazioni dell’emersione alma e vìride di quella medesima epoca.