Sovrano, per Schmitt, non è colui il quale, d’innanzi a una concreta e occasionale emergenza (relativa), avoca a sé il potere decisionale, bensì è colui attraverso il cui atto de-cidente – assoluto ossia a-bissale –, trova fondamento di legittimità ogni legalità conseguente a tale gesto originario – quindi auto-ctico –, cioè preso senza alcun fondamento (di legittimità) antecedente all’essere del sé: dal nulla della norma (uποκείμενον), la sostanzializzazione sovrana, l’im-mediata autolegittimazione del decidente (causa sui ipsius) in quanto decidente sciolto (solutum), nell’atto del decidere, da qualsiasi precondizione o relazione con altra soggettualità giuridica (la Legge stessa) già essenteci. Siamo sul piano giurisprudenziale, certo, non ontologico, e, nondimeno, si comprende l’essenza del pensiero schmittiano sul Politico – non casualmente da lui iscritto entro un orizzonte, anche lessicale, teologico – solo se si pensa quest’ultimo in termini auto-causativi, attuante epperò il sé (essentia) e l’essere del sé (substantia) ex nihilo sui et subiecti: qualunque realtà già in essere o, nell’orizzonte del Diritto, qualunque persōna giuridica già vigente, fosse anche la medesima Legge costituzionale o fondamentale, renderebbe relativa la decisione, dunque relativo il decidente, non pienamente altresì né autenticamente sovrano.
[…]
Lo Stato di diritto moderno, pertanto, non riconosce ad alcun soggetto piena sovranità poiché non ad alcun soggetto riconosce piena legittimità, piena legittimità riconoscendo altresì esclusivamente alla legalità. Se l’azione diretta corrispondente allo stato di eccezione contingente (definiamolo 'stato di emergenza' per chiarezza esplicativa, distinguendolo dallo stato di eccezione assoluto o tout court) è ripartita fra molteplici soggettualità giuridiche, e se tale ripartizione è pre-decisa da una norma (la Legge costituzionale), allora sovrana è, ulteriormente, la norma, senza nondimeno, come posto, mai poterlo essere, in quest’accezione, pienamente.
Nonostante le succitate dottrine dello Stato moderno spostino il momento autoctico dalla persona del decidente alla norma stessa (è, dunque, in questa “metafisica del diritto”, la norma stessa a creare se stessa, così interrompendo il “regresso all’infinito” nella ricerca della causazione prima o fondamento del sé), la norma non può mai essere autocausativa: ogni legge, e la stessa Legge costituzionale, trova fondamento anzitutto su una decisione originaria, non mai su un’originaria norma. Il regressus in infinitum dimostrerebbe piuttosto, per Schmitt, l’impossibilità che in origine vi sia una legge (chi l’avrebbe, infatti, decisa e promulgata?): in principio pertanto è sempre la De-cisione, l’Ent-schlossenheit heideggeriana, l’Ur-teilung o partizione originaria della teoresi di Hölderlin. E chi ciò compie è sovrano, pantocrate, cosmizzatore. La Decisione sovrana di Carl Schmitt è la katáneysis kephálaia di Zeus, l’imponderabile cenno diale del capo che tutto comanda e ordina (dia-kόsmēsis).
[…]
Ma, se la legalità, in uno Stato di diritto, può decidere dell’emer–genza (relativa), d’innanzi all’estremo o all’originario, ovvero, ulteriormente, al cospetto dell’eccezione assoluta, essa permane, consentaneamente alla propria essenza derivata, afasica. Legge e Decisione sovrana, Diritto e Stato, non si incontrano mai, per definizione (precisamente ciò implica l’attribuzione di soglialità all’eccezione, la mutua esclusività asintotica ovvero di Legittimità e Legalità): la decisione sovrana si manifesta pienamente (Héxis) solo con l’eclissarsi assoluto del fondamento normativo, mentre la norma vige compiutamente solo col venir meno (Stérēsis) del potere sovrano.
È solo, dunque, se e allorquando ogni diritto recede, compresa quella legislazione che (pre-)decide dell’eccezione, che ci troviamo all’interno del caso limite, dell’evento estremo; è solo in questa vacatio o epoché dell’ordinario (e dell’ordinamento) che la decisione sovrana appare, nell’attimo teofanico: Keraunós.
[…]
Nondimeno, non mai dandosi, nell’inoltrarsi della Storia, lo si è accennato, situazioni estreme ovvero coppie antifatiche, dunque estensioni così assolute da nullificare lo spazio posizionale dell’altro da sé, non dandosi ovvero mai – salvo nell’origine stessa della sovranità trascendentale – alcun decisore autocrate totalmente sciolto da relazione con qualsivoglia norma pre-esistente, foss’anche un intreccio con leggi che, preso il potere, il sovrano decisore sovverte o perfettamente (relazione di contrarietà), o parzialmente (relazione di contraddittorietà), né certamente mai dandosi, specularmente, alcuna norma autoattuantesi, tra i poli in astratto estremi e a punto assoluti o autoescludentisi, di Stato e Diritto, Sovrano e Norma, Legittimità e Legalità, si instaura e intesse – da sempre – il tertium della sintesi dialettica, per cui, di volta in volta, ogni ordinamento giuridico, tessitura mediale uniduale, risulta più o meno inclinato verso l’un polo o l’altro.
Posto dunque l’assoluto della sovranità nella decisione a-bissale, ad-fermata ovvero sul nulla del diritto, non resta che stabilire, di volta in volta, quanta prescrizione normativa permane a fondamento della decisione maiestatica sull’eccezione, quanta quota d’essere altresì la posizione della Legalità sottrae alla posizione della Legittimità, oppure, simmetricamente, in coimplicazione enantiodromica, quanta sovranità di volta in volta il decisore emergenziale detiene presso sé per ogni stato d’eccezione fattuale o relativo, storico ossia contingente. Allo stesso modo, meno soggettualità il diritto concede alla slancio “creativo”, inseitalmente ex-nihilo, del Decisore egioco, più ci troviamo al cospetto di uno stato di autentica eccezione: è, invero, lo stato o piuttosto il grado di sospensione, dunque la quantificazione dell’annullamento, sempre relativo ossia storico, del diritto, a qualificare, retroattivamente, lo stato di eccezione, il suo darsi ovvero o il di esso non sussistere, non mai viceversa.
[…]
La stato di eccezione, altrimenti a dirsi, è un miracolo, l’irruzione del momento divino nella storia, l’abissale squarcio dell’orizzonte ordinario e mondano. Per questo, secondo l’autore della Teologia politica, il moderno Stato di diritto equivale, nella speculazione religiosa, al deismo meccanicistico e razionalistico. Per questo la moderna democrazia liberal-borghese è figlia della configurazione “metafisica” che, secondo Heidegger, attarda l’Esserci presso il pensiero calcolante.