È nostra intenzione riprendere, nell’esegesi dell’agile quanto capitale riflessione schmittiana “raccontata” alla figlia Anima, l’altrove ostensasi omnisostanzialità (Hypo-keímenon) del Conflitto (Pólemos pántōn mèn patér esti) che viepiù appare retroconferire ovvero elencticamente assegnare destinazione ultima e fondamento originario alla Menschengeschichte – e dunque, per noi, alla stessa Seinsgeschichte –, l’essenziale ovvero sostraticità della totalità dell’ente ecceitale (sýn-olon) che qui trova declinazione nell’opposizione “elementare” o “rizomatica” espressa nell’endiadi Land und Meer, Terra e Mare o, ancor più “radicalmente”, Terra e Acqua, Ghê kái Hýdor.
Nel contesto teoretico sopra evocato, la coimplicazione che coalesce l’uni-dualità dell’Opposizione originaria, si propose per l’afferramento concettuale attraverso le coppie antitetiche categoriali Identità-Alterità, Essere-Nulla, Indeterminatezza-Determinatezza, anzitutto e se diurnamente espresse, notturnamente nelle antifatiche sizigie e nelle autentiche identità-della-Non-identità e Non-identità, essere-del-Non-Essere e Non-Essere, indeterminatezza-della-Non-inde–terminatezza e Non-indeterminatezza. Ebbene, ci sentiamo di non forzare eccessivamente il discorso schmittiano, sino a distorcerne l’intenzione, se ora tentiamo di inquadrare quell’Opposizione originaria nella sua stoichiomachia, non dissimilmente da quanto osammo per l’antagonismo sombartiano già posto in analisi (Händler und Helden).
Così come, infatti, dilatammo la collocazione primonovecentesca della diade oppositiva di Sombart, per riscontrarne un suo più amplio avvolgere la nostra storia indoeuropea pressoché completamente, proviamo parimenti qui a estendere e ulteriormente radicalizzare l’antitesi elementare schmittiana. Invero, tanto nell’accadere e nel dispiegarsi nel Kulturkreis indogermanico si possono rinvenire molteplici occorrenze dell’ostilità o semplicemente della netta diastasi tra mercanti ed eroi (Laboratores / Bellatores; Quirinus / Mars; Chrematistikón [Epithymetikón] / Epikouretikón/Polemikou [Thymoeidés]; Tiers état / Noblesse), quanto, comportandoci presso l’orizzonte di Schmitt, altrettante evidenze evenemenziali possono essere ostense circa la contesa diacronotopica tra ctoniocrazie e talassocrazie.
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Ebbene, imperi marittimi e terrestri, mercanti ed eroi, si fronteggiano da tempo immemorabile, ma non mai talassocrazia alcuna compì scelta sì radicale verso l’equoreo, né qualsivoglia mai civiltà si concesse sì completamente allo spirito dei mercanti, come fece l’Inghilterra nel XVII° secolo. Principiamo pertanto il percorrimento del testo schmittiano per conoscere più da presso tappe e conseguenze di questo sviluppo e di questa scelta altrettanto decisiva per lo spazio im-menso e ostile a ogni centuriazione ipostatizzato dal Meer, per validare, esegeticamente, alla luce della caratterizzazione di detta elezione talassica, se davvero permane presso fondamento l’ipotesi che afferma co-appartenza tra lo spirito dei mercanti, il Tempo – civilizzato – di Faust, ovvero il controtempo dell’epoché katechonica statuale apollinea, la natura dell’elemento idrico e la categoria dell’Indistinto, della pura Quantità o Estensione aqualitativa.
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Non da sempre, pertanto – giova rammentarlo a noi stessi, abitatori del globalismo tardo-faustiano oramai vissuto come destino capace di coinvolgere nella propria vicenda di avvento il proprio stesso passato, adesso adeguato a un Volere non più “digrignante i denti” d’innanzi alla pretesa, di essa antecedenza, d’inattingibile diversità e distanza d’alterità – lo spazio mondiale è assoggettato e ridotto a unità, non da sempre o costitutivamente la centuriazione dell’ecumene non è in grado di salda stare e offrire consistenza distintiva alcuna, non da sempre isoglosse, are, leggi, mores, miti, terre e discendenze non partiscono, identitariamente – conferendo loro al contempo e coimplicativamente pienezza di fondamento ontologico nell’inscindibile sinolarità di essere-e-ipseità –, le individualità delle Civiltà, non da sempre, bensì esclusivamente da questo, qui escusso, preciso punto dello spazio e del tempo, da questo preciso evento d’allontanamento terrigeno e procombente abbandono al–l’equoreo. Medesima inaudizione storica – e pari profitto ancora a noi contemporanei comporterebbe l’esercizio, anche qui, del pensiero che rammemora (Andenken) e ridesta dal sogno aoristico-emancipativo di Faust, oggi nondimeno vissuto nel reflusso del dominio emporeutico – investe l’idea giusnaturalistica moderna di uomo meta-kulturell, dunque già oltre-storico, universale, indistinto e a punto (parmenideamente o deuteriormente), uno, continuo e com–patto nella propria identità, diatopicamente – e ormai diacronicamente – comune e indifferenziabile, sradicato dalla propria Gemeinschaft, tanto reciso dal suolo patrio (Boden), quanto estraniato dal proprio passato.
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Non, ancora, fu il superamento ubristico dei riguardi eraclei antico-medievali a determinare la rivoluzione in senso universalizzante della concezione dello spazio tra il XVI° e il XVII° secolo, bensì precisamente questo impulso (Streben) per l’Indistinto immenso (Zeitgeist) condusse alla loro scoperta, non dissimilmente da come “generò” la pittura prospettica di Andrea Pozzo, le guglie delle cattedrali gotiche, il calcolo infinitesimale, le fughe del contrappunto barocco e, “civilizzandosi”, lo stesso capitalismo moderno.
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Ed è proprio in questo nuovo Ordinamento della Terra che si inserisce la rivoluzione “elementare” compiuta dall’Inghilterra nel ‘600. La Terra, infatti, è, per essenza, centuriazione, divisione, demarcazione, partizione distintiva, ossia pluralità d’identità particolari e vicendevolmente contrad-distinguentisi; il Mare, all’opposto e per pari profilazione eidetica, ipostatizza, nella radicalità elementare, la continuità amorfa e antitipica, liquida e ostile a qualsivoglia agrimensura, ad ogni eliaca e delfica cosmizzazione. Ecco pertanto come solo completamente votandosi a questo elemento, solo decidendosi per esso, “una piccola isola al confine nord-occidentale d'Europa” si poté trasformare “in centro di un impero mondiale”, nel precordio di un regno globale, aggiungiamo noi, ma sempre con Schmitt, la cui natura non poteva che essere emporeutica: non può certo più sfuggirci, ormai, l’immorsatura che avviticchia con necessità la categoria dell’Aoristia o dell’Indistinzione, l’assiologia eleutero-centrica e nichilistico-emancipativa, la prassi economica del commercio globale e la giurisprudenza universalistica (“l'epoca del libero commercio fu anche l'epoca del libero dispiegamento della superiorità industriale ed economica dell'Inghilterra. Libero mare e libero mercato mondiale si combinarono in una idea di libertà della quale soggetto e custode poteva essere solo l'Inghilterra”).
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Oltre l’evento dell'“appropriazione inglese del mare e della separazione di terra e mare”, non altro diritto internazionale, non altra scienza economia fu più possibile, se non a carattere unitario e universalistico, se non avente ossia per giurisdizione il mondo intero e per concetto guida l’Indistinzione, e non alterità, non diversità alcuna furono più “concepibili”: quale posizione ecceitale, del resto, può mai eccedere il Tutto ed eccepire alla sua Legge, ergendosi contro il suo Nómos panavvolgente e omniomologante?