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Differenza e Identità
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Si suole considerare, tautologicamente, l’identità dell’essente essere determinata e decisa nell’orizzonte dell’Identità, si suole ebbene non mediatamente distinguere ovvero immediatamente confondere per continuità concettuale la riduzione presso qualità (haecceitas) o il pertenimento in determinatezza (bestimmung) del qualcosa (dasein) rispetto al di esso solo proprio o distintivo contenuto eidetico. La celebre formula dell’identità riverberativo-tautologica, infatti, non ancora alcunché predica – né può – del soggetto tanto reciso (Abtrennung) o reduplicato (Verdopplung), quanto riadunato o reimmorsato al sé dal principio di coalescenza ipseitale.

A = A, ma ti estì A-in-sé?

Pertanto, posto il principio d’identità, che preliminarmente definiamo seità dell’essente (Sichheit), qualunque predicazione – tanto essenziale quanto eterogena – osiamo ora attribuire ad A oltre il limite del principiale e anapodittico predicarla eguale a sé, coercisce il semplice affermante-ulteriore al “folle volo” al di là del templum monadico o sinechiale della medesimezza, esortandolo ossia e cogentemente all’epiclesi che distente o subitamente espande l’ordinarsi della Differenza o della Dis-equazione a partire precisamente dall’inestensione – adimensionale dunque impredicata o indifferenziata nel proprio contenuto (l’inseità dell’essente [Ansichheit]) – di questo punto della di-partizione identitaria, di questo e non di quest’altro: oltre i riguardi eraclei della predicazione d’autoeguaglianza, trascendentale si estende infatti e meravigliosa (Thaumásios) precordialmente discorde (Én-Dia-Phéron-Eautõ, ek tõn Dia-pheróntōn Kallístēn Armonían) si schiude o dis-immorsa la Dia-vergenza (Pólemos, Zwischen, Lichtung, Keraunós) ovvero il Tutto autentico sive apofatico-prolettico della molteplicità dell’ente individuale o particolare.[1]

Oltre la predicazione reduplicativa d’autoeguaglianza del soggetto, pertanto, oltre ebbene la posizione affermativa apparentemente principiale in cui l’orizzonte della predicazione è tutto-avvolto (perì pánta kalúptoi) e stipato (steinoménē) dalla posizione – sdoppiata (Gaîa-Ouranós) e traspostasi – del soggetto stesso, se si vuole incedere ancora entro il cielo della predicazione, se si vuole ossia sopravanzare l’afasia del niente-predicativo-ulteriore per compattezza o continuità della potenza del dire ancora qualcosa, occorre con autoevidenza escutere alla diafania dipartitiva un altro soggetto – ordunque una differente posizione inseitale o partizione distintiva – che possa esso disporsi – accanto e accosto in discretudine – quale predicato ultra-tautologico rispetto al predicato del soggetto posto in preludio, occorre ebbene che l’orizzonte della predicazione principi a ordinare il molteplice della predicazione – l’eidogonia di A – secondo differenza e discretudine.

Si prenda avvio apodittico dal porre l’ipotesi dell’esserci – qui ed ora – esclusivamente dell’identità “Sole”. Bene, se tentiamo di definirla, il niente della determinatezza che, in accordo con la nostra definizione preliminare di esclusività onto-eidetica (Syn-olon), si estende oltre la partizione del “Sole”, immediatamente arresta ogni nostro dire che non affermi esclusivamente: “Il Sole è il Sole”. Infatti, per poter dichiarare: “Il Sole scalda”, “Il Sole corre nel cielo”, “Il Sole fa crescere le messi”, i soggetti: “Calore”, “Corsa”, “Cielo”, “Crescita” e “Messe” debbono – già – essere presso la disponibilità del predicante, ossia, coimplicativamente, passando dal piano semantico al piano ontico, le realtà che tali deissi indicano debbono – già – sussistere, certamente escludendo la possibilità della creatio ex nihilo sui et subiecti del predicante per ciò stesso onomatoteta (quanto qui affermato, naturalmente, non coinvolge esclusivamente le proposizione apofantiche: lo stesso sintagma nominale endiadico “Sole e Luna” chiama immediatamente alla manifestazione del proprio esserci l’astro protetto, ciclicamente, dal nume di Selene, Artemide, Ecate e Perseide, né tantomeno vige la distinzione tra noesi e dianoesi del concetto di “Sole”, poiché la stessa di esso intellezione intuitiva e inespressa o non ancora argomentata pur già e preliminarmente si di-mostra sottostare alla medesima Legge dell’Ordinamento della Differenza).

Pertanto, poiché noi qui ed ora discorriamo e con asiana dovizia oratoria del “Sole” – di tutti i suoi attributi, tanto quanto di tutte le relazioni possibilmente predicabili tra il Sole e il Mondo, tra il Sole e ciscuna onto-medesimezza (egualmente tra il semantema “Sole” e ogni altra referenzialità linguistica) disposta lungo il procedere del Mondo o l’ordinarsi della Differenza – pur qualcosa oltre la posizione del Sole è stato disposto all’esserci, pur qualcosa ovvero, qui ed ora, è in grado di stare e con recisa desisione presso sé, epperò oltre l’adimensionalità posizionale del “Sole”, questa dimostrando pertanto – con il semplice stare atremido del sé – incapace di coinvolgerlo completamente, inglobandolo in sé sì tanto in continuità e co-incidenza da annullarne la di esso solo propria distintività posizione o autonomia identitaria, pur qualcosa ovvero, in ultimo, è stato distaccato e distanziato dalla posizione del “Sole”.

Ebbene, conquistando esordiale conclusione: se non si desse differenza o alterità alcuna, se non si desse altresì la Differenza-in-sé o l’Alterità-da-sé, non alcuna identità che non fosse tautologica né ora vi sarebbe, né mai.

Ciascuna identità pertanto, se isolata nel proprio momento positivo o distintivo, se altresì astratta dall’alterità-da-sé o contraddittorietà esclusivamente sua propria (giacché Non-A immediatamente non è Non-B), lasciata esclusivamente a sé non può che risolversi in vuota tautologia, non può invero se non re-iterare in eterna eco l’originaria o costitutiva distinzione tra sé e sé: improcedibile e non ulteriormente intro-partibile o differentemente determinabile, permane presso lo stigma della propria partizione ipseitale e lì sta, endo-evacua a punto obs-cillando e inane tra i lembi della sua dis-secazione posizionale.

Indirettamente dunque così evocata l’essenza del fondamento (Vom Wesen des Grundes) dell’essente in totalità (Hypo-keímenon), procediamo adesso col dimostrarne l’originarietà (Arché) epperò l’omniavvolgenza (Umgreifende), il carattere proprio ebbene d’eccedenza inesauribile rispetto a ogni occorrenza particolare (Symbebēkós) necessariamente – autenticamente (Stérēsis) – compartecipantela (Méthexis) per essere distintamente e pienamente qualcosa (Héxis) e non semplicemente per essere pertenuta nell’eguaglianza con sé.

Ci si chiede, infatti, ora, ulteriormente: come può una de-terminata posizione di medesimezza stare presso la coalescenza del sé al sé o coerenza solo propria senza il già esserci dell’altro-da-sé? Ovvero: può l’identità essere la predicazione essenziale originaria dell’essente determinato? E, ancora, categorizzando l’essente: come può costituirsi alcuna particolare posizione identitaria se in principio si dà l’Identità? Dunque, e anzitutto: come può costituirsi la posizione identitaria stessa dell’Identità se ante ogni darsi si dà l’Identità?

Riedendo al nostro esempio invitto, pur invero nella vacuità del solo proprio riverbero tautologico, il “Sole” appare, si dà (es gibt), pur la posizione “Sole” pertanto in qualche modo si è già distaccata – e se ne è distacca, secondo necessità (katà tò Chreón), pena il non-poter-esserci stesso del Sole (Principium individuationis singularis), ammenda altresì, e anzitutto, ma qui ancora in prolessi, il non-poter-esserci di alcunché in generale (Principium individuationis universalis) – da ciò che la conteneva, cioè dall’Orizzonte estremo della predicazione, pur orbene, nell’attualità del tempo distintivo-predicativo tautologico – enantiodromicamente o riconvergendo (Epistrophé) all’Originario per via catafatica –, essa precisa posizione fu dispiegata in successione lungo la teoria dell’impressione onto-identiraria o della riduzione presso ecceità, resa epperò discreta tanto rispetto al Mondo già e im-mediatamente estendentesi oltre del Sole il limite del sé al sé coalito, quanto in relazione a ogni altra posizione nel Mondo già imposta sotto la presa dell’individuazione. Se, infatti, vi fosse esclusivamente il Sole, pur l’affermazione del Sole, e non d’altro, si dovrebbe poter in qualche modo, attuandosi o giungendo ad essere, s-tagliare – lungo l’assialità paradigmatica – dalla Potenza-della-impressione-in-posizione-di-qualcosa o a punto dal Tutto dinamico od orizzontale, apofatico o escate, della Predicabilità.

Ebbene, questa potenza immediatamente enantio-determinata non è null’altro se non il contraddittorio simmetricamente in principio tautologico della posizione o affermazione particolare, ossia, nell’esempio nostro mitraico, null’altro se non il Tutto affermatosi per negazione dalla posizione affermativa del Sole (Non-Sole), cioè a punto il contraddittorio del Sole, l’orizzonte della sua negazione in totalità, ovvero, ancora categorizzando – ma qui autenticamente – la negazione dell’essente determinato, l’Orizzonte della Negazione in Totalità o in-sé, lo Spazio altrimenti per il Tempo dell’E-vento del Disvolgersi della Differenza e autoctica e abissale.

Conseguendo dunque deuteriore conclusione: non la stessa posizione tautologica di alcunché può darsi senza il già in qualche modo esserci della Distintività o della Differenza, dell’Alterità o della Contraddittorietà.

Si provi ora – retrocedendo verso l’Origine alla ricerca dalla causa prima dell’identità dell’essente – a porre quale originaria la posizione dell’Identità-in-se-stessa: anzitutto, come affermato, non potrebbe che darsi e la posizione anapoditticamete principiale sua tautologica, e la posizione, parimenti esclusivamente propria o de-cisa dal (e determinata nel) porsi del sé, enantio-tautologica (“l’Identità è l’Identità”, “l’Identità non è la Non-identità”, “la Non-identità è la Non-identità”).

Ebbene, poiché tra l’Identità e la Non-Identità deve costituirsi distanza e distacco, Identità e Non-identità – posizione della Posizione e posizione della Non-posizione-della-posizione – sembrano in qualche modo dover entrambe essere sottese entro un orizzonte comune di relazione – l’Uno che con-rela Identità-e-Non-identità – che del pari le avvolge: per poter pertenere nella mediazione della distanza o presso l’adunazione nel distacco tali due posizioni, l’Orizzonte della Divergenza-dei-Due deve, infatti, con necessità porsi in mezzo tra loro, toccandole entrambe, cioè sogliale relazionandosi simultaneamente con esse due.

Ma frap-porsi tra ogni cosa (e ogni cosa) significa circondare tutto. E come si frap-pone questo Frap-ponentesi che tutto circonda? Certamente come il Ni-ente della posizione già distinta, egualmente ebbene giacché il Tutto della Potenza escate della partizione o dell’individuzione ancora ulteriore.[2]

Ora, che cos’è la Non-identità tautologica, ossia la Non-identità che null’altro entro sé distintivamente contiene (stante la posizione originaria o “unica” dell’Identità-in-sé), se non proprio questo orizzonte che da ogni parte avvolge il punto posizionale dell’Identità? Questo medio tra il sé e l’altro da sé della posizione originaria può essere ordunque l’Identità stessa? Può ovvero l’Identità frapporsi trae non-sé, mantenendo nel distacco (e mantenendo il Dis-tacco [Hiatus] tra) queste due posizioni? Può ovvero, in ultimo, l’Uno che co-alesce Identità-e-Non-identità essere – in sé o identitariamente, dunque unitariamente – Identità o Enadità?

Evidentemente no, poiché, in questo caso, si troverebbe a essere, simultaneamente, in relazione (positiva o di coerenza, in quanto la relazione d’esclusione, contraddistinzione o negazione implica l’esserci dell’Alterità, qui, de origine rogando, invece ipotizzata ancora non-essenteci), e con-sé, e con l’altro-da-sé. Ma, se l’Identità può stare e certamente in re-lazione con sé, proprio ciò (ossia Per-tenimento-in-co-erenza) essendo essenzialmente o insé (l’Identità-in-sé è infatti la posizione dell’immediata coalescenza o dell’immorsata sinchechia tra seità e inseità, l’insé dell’Identità essendo invero identità – dunque non distinzione – tra inseità e seità), assolutamente non può, per pari cogenza eidetico-distintiva, stare in relazione col Non-sé, se non a punto in una relazione di contraddizione o d’esclusione, di negazione o di avversione, ora, perí Archês, impossibile a darsi.

Dunque l’Identità – se in seguito si dà la distintività, e la determinazione qualitativa (dasein) dell’ente (tà pánta; tà ónta) qui e ora appare, meraviglia a vedersi (Thaûma Idésthai) – non può essere la posizione originaria, dunque l’Identità – quale in-sé Principio di Identità o coalescenza ipseitale dell’essente – non può essere il contenuto della posizione identitaria dell’Originario.

Si provi adesso, pertanto, a contrap-proporre la tesi che indica nell’Alterità (nella posizione ovvero dell’immanente divergenza o della devasta discretudine – immediatamente mediale – tra seità e inseità, l’insé dell’Alterità essendo invero diversità – dunque distinzione – tra inseità e seità) il contenuto della posizione dell’Originario, sicuramente sottoponendola alla medesima complusione che della curule dignità di fondamento ne indaga l’autenticità del cremisi trabeale.

Può, ordunque, l’Alterità frapporsi ovvero porsi in relazione positiva tra la posizione del sé e la posizione del non-sé? Certamente, immediatamente, la posizione del sé null’altro essendo – in essenza o precisamente in accordo al suo proprio contenuto identitario positivo – se non alterità o differenza trae sé. Ma come può mai, al contrario, porsi nella posizione parimenti positiva di medesimezza col sé, sè – Alterità-di-ogni-cosa-da-ogni-cosa – essendo la posizione principiale, ossia già essenteci ante il darsi stesso dell’Identità-di-qualcosa-con-qualcosa?

Ebbene, può pro-porsi di porsi infine incontraddittoriamente in essa relazione d’incontraddittorietà identitaria.

Se, pertanto, è immediatamente o nell’autocausazione omniprincipiale eguale a sé in quanto pro-posizione d’essere in estremo compiutamente eguale a sé, allo stesso tempo (áma synístatai kaì apoleípei) è – sempre o trascendentalmente – eguale a sé nell’insé (Pro-posizionalità), e non è – mai o storicamente – eguale a sé nel sé (Posizionalità), così epperò procedendolo, altrettalmente com-piendolo, ovvero imprimendo nella propria contraddittorietà o negazione (posizionalità o seità) viepiù o secondo l’ordine della distensione elenctica, tutta la contraddittorietà rispetto al contenuto della propria posizione, in principio specularmente proposizionale, di Proposizionalità-in-sé.

E, nondimeno, l’impressione processuale o teleologica d’incontraddittorietà alla contraddittorietà (seità o posizionalità) della Contraddizione originaria (inseità o Proposizionalità) non è forse proprio il distendersi via via (katà tèn toû Chrónou Táxis) della totalità dell’affermazione distinta, ebbene il Tutto autentico ovvero meontico-orizzontale dell’identità discreta?


Che cos’è infatti e immediatamente l’Alterità, oggetto di questo nostro attuale discorrerne, se non una posizione di identità? Ma come può essere sé (ed essere, giacché naturalmente l’autoctisi della Differenza coimplica immediatamente, sotto altra categoria inquadrando il medesimo Originario, l’antecedenza stessa del Ni-ente-dell’ente sull’Essere-dell’ente-in-totalità) ante la posizione della Posizione-in-coerenza-in-sé? A punto essendo sé (ed essendo semplicemente qualcosa) nella pre-supposizione di essere sé (e d’essere semplicemente qualcosa). Ma cosa implica, e con incontrovertibilità, tale carattere pro-posizionale assunto in principio dalla posizione del sé in sé Pro-posizionalità se non il processo stesso di riduzione completa presso piena posizionalità escate o incontraddittoria immobilità entelechiale di tale presupposizionalità concutente la posizione principiale della Pre-supposizionalità-in-sé?

E sia, raggiungendo l’ultima conquista dell’apodissi: la Contraddittorietà in sé, e solo essa, è intrinsecamente storica (Ge-schichte) così come solo essa può essere – e lo è autenticamente – autoprincipiativa, immanentemente Discorde o in concento nel Contrasto, quindi originaria, epperò, egualmente, destinale (Ge-schick).

Che cosa, infatti, sotto altri riguardi a rinforzarsi la storicità (Geschehen) immanente del Negativo assoluto, determina autenticamente l’evolversi del contenuto di ciascuna identità distintiva, dal grado 0 o tautologico pristino, se non l’ampliarsi via via dell’esclusivamente proprio (Non-A ≠ Non-B) momento negativo o contraddistintivo, l’identità positiva particolare non altro essendosi invero dimostrata se non il pertenimento-in-co-erenza del sé col sé dell’ente individuale lungo il percorso di determinazione o affermazione del sé dell’inseità Contraddizione categoriale o Negazione trascendentale attuantesi attraverso l’ordinarsi meraviglioso o il dispiegarsi completo di tutta la di essa affermatasi negazione o distintasi differenza?

Come, ovvero, in ultimo, questo medesimo ex-tendersi via via differenziativo del contenuto autentico d’identità di ogni posizione particolare può e deve essere inteso se non giacché il pro-gredirsi stesso del Mondo? E come, infine, tale diversificazione processiva della Terra (Erde) può e deve essere (ri-)compresa se non quale il prendere viepiù posizione contro – dunque autenticamente entro – il Cielo (Himmel) proletticamente omni-avvolgente di contraddizione o negazione del Niente-di-ogni-posizione-conciliata-o-coerente?

Ecco dunque che cos’è (ti estì), hic et nunc – quindi già nell’avanguardia stessa dell’Originario-in-Atto (l’O-mediato, l’eccenza sempre escato-orizzontale ovvero di tutto ciò che immediatamente ante-omnia-appare quale il Niente-estremo-del-tutto-dell’apparenza [ΔIÁ]) –, questo Sole che ora abbacinante si ostende innanzi a noi: è il non-essere ogni ente già determinato ovvero retrodeposto nella Totalità dell’F-immediato sin qui dimostratasi lungo il Sentiero del Giorno.

Il fuoco vive la morte della terra e l’aria vive la morte del fuoco, l’acqua vive la morte dell’aria, la terra la morte dell’acqua.[3]

Alberto Iannelli

* Originariamente pubblicato sulla rivista Consecutio Temporum
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1. «Il mondo pensato non può essere se non com’è pensato: pensato che sia, immutabile (nel pensiero che lo pensa). Ma noi, quando ci siamo affacciati nell’età moderna allo spirito come attività trascendentale produttiva di ogni oggetto dell’esperienza, ci siamo trovati in un mondo nuovo, che non è materia di esperienza, poiché non è pensato, ma ragione e principio di quanto si pensa; e non può essere governato esso stesso dalla legge, che è propria del vecchio mondo, nel quale rimangono chiusi tutti coloro che continuano a indicare il principio di non contraddizione come le colonne d’Ercole della filosofia». Giovanni Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Sansoni, Firenze 1938.

2. «Ed io mi ricorderò di te, e di un altro canto ancora». Omero, Inno ad Atena.

3. Eraclito, Fr. 76.

© Orizzonte
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Si suole considerare, tautologicamente, l’identità dell’essente essere determinata e decisa nell’orizzonte dell’Identità, si suole ebbene non mediatamente distinguere ovvero immediatamente confondere per continuità concettuale la riduzione presso qualità (haecceitas) o il pertenimento in determinatezza (bestimmung) del qualcosa (dasein) rispetto al di esso solo proprio o distintivo contenuto eidetico. La celebre formula dell’identità riverberativo-tautologica, infatti, non ancora alcunché predica – né può – del soggetto tanto reciso (Abtrennung) o reduplicato (Verdopplung), quanto riadunato o reimmorsato al sé dal principio di coalescenza ipseitale.

A = A, ma ti estì A-in-sé?

Pertanto, posto il principio d’identità, che preliminarmente definiamo seità dell’essente (Sichheit), qualunque predicazione – tanto essenziale quanto eterogena – osiamo ora attribuire ad A oltre il limite del principiale e anapodittico predicarla eguale a sé, coercisce il semplice affermante-ulteriore al “folle volo” al di là del templum monadico o sinechiale della medesimezza, esortandolo ossia e cogentemente all’epiclesi che distente o subitamente espande l’ordinarsi della Differenza o della Dis-equazione a partire precisamente dall’inestensione – adimensionale dunque impredicata o indifferenziata nel proprio contenuto (l’inseità dell’essente [Ansichheit]) – di questo punto della di-partizione identitaria, di questo e non di quest’altro: oltre i riguardi eraclei della predicazione d’autoeguaglianza, trascendentale si estende infatti e meravigliosa (Thaumásios) precordialmente discorde (Én-Dia-Phéron-Eautõ, ek tõn Dia-pheróntōn Kallístēn Armonían) si schiude o dis-immorsa la Dia-vergenza (Pólemos, Zwischen, Lichtung, Keraunós) ovvero il Tutto autentico sive apofatico-prolettico della molteplicità dell’ente individuale o particolare.[1]

Oltre la predicazione reduplicativa d’autoeguaglianza del soggetto, pertanto, oltre ebbene la posizione affermativa apparentemente principiale in cui l’orizzonte della predicazione è tutto-avvolto (perì pánta kalúptoi) e stipato (steinoménē) dalla posizione – sdoppiata (Gaîa-Ouranós) e traspostasi – del soggetto stesso, se si vuole incedere ancora entro il cielo della predicazione, se si vuole ossia sopravanzare l’afasia del niente-predicativo-ulteriore per compattezza o continuità della potenza del dire ancora qualcosa, occorre con autoevidenza escutere alla diafania dipartitiva un altro soggetto – ordunque una differente posizione inseitale o partizione distintiva – che possa esso disporsi – accanto e accosto in discretudine – quale predicato ultra-tautologico rispetto al predicato del soggetto posto in preludio, occorre ebbene che l’orizzonte della predicazione principi a ordinare il molteplice della predicazione – l’eidogonia di A – secondo differenza e discretudine.

Si prenda avvio apodittico dal porre l’ipotesi dell’esserci – qui ed ora – esclusivamente dell’identità “Sole”. Bene, se tentiamo di definirla, il niente della determinatezza che, in accordo con la nostra definizione preliminare di esclusività onto-eidetica (Syn-olon), si estende oltre la partizione del “Sole”, immediatamente arresta ogni nostro dire che non affermi esclusivamente: “Il Sole è il Sole”. Infatti, per poter dichiarare: “Il Sole scalda”, “Il Sole corre nel cielo”, “Il Sole fa crescere le messi”, i soggetti: “Calore”, “Corsa”, “Cielo”, “Crescita” e “Messe” debbono – già – essere presso la disponibilità del predicante, ossia, coimplicativamente, passando dal piano semantico al piano ontico, le realtà che tali deissi indicano debbono – già – sussistere, certamente escludendo la possibilità della creatio ex nihilo sui et subiecti del predicante per ciò stesso onomatoteta (quanto qui affermato, naturalmente, non coinvolge esclusivamente le proposizione apofantiche: lo stesso sintagma nominale endiadico “Sole e Luna” chiama immediatamente alla manifestazione del proprio esserci l’astro protetto, ciclicamente, dal nume di Selene, Artemide, Ecate e Perseide, né tantomeno vige la distinzione tra noesi e dianoesi del concetto di “Sole”, poiché la stessa di esso intellezione intuitiva e inespressa o non ancora argomentata pur già e preliminarmente si di-mostra sottostare alla medesima Legge dell’Ordinamento della Differenza).

Pertanto, poiché noi qui ed ora discorriamo e con asiana dovizia oratoria del “Sole” – di tutti i suoi attributi, tanto quanto di tutte le relazioni possibilmente predicabili tra il Sole e il Mondo, tra il Sole e ciscuna onto-medesimezza (egualmente tra il semantema “Sole” e ogni altra referenzialità linguistica) disposta lungo il procedere del Mondo o l’ordinarsi della Differenza – pur qualcosa oltre la posizione del Sole è stato disposto all’esserci, pur qualcosa ovvero, qui ed ora, è in grado di stare e con recisa desisione presso sé, epperò oltre l’adimensionalità posizionale del “Sole”, questa dimostrando pertanto – con il semplice stare atremido del sé – incapace di coinvolgerlo completamente, inglobandolo in sé sì tanto in continuità e co-incidenza da annullarne la di esso solo propria distintività posizione o autonomia identitaria, pur qualcosa ovvero, in ultimo, è stato distaccato e distanziato dalla posizione del “Sole”.

Ebbene, conquistando esordiale conclusione: se non si desse differenza o alterità alcuna, se non si desse altresì la Differenza-in-sé o l’Alterità-da-sé, non alcuna identità che non fosse tautologica né ora vi sarebbe, né mai.

Ciascuna identità pertanto, se isolata nel proprio momento positivo o distintivo, se altresì astratta dall’alterità-da-sé o contraddittorietà esclusivamente sua propria (giacché Non-A immediatamente non è Non-B), lasciata esclusivamente a sé non può che risolversi in vuota tautologia, non può invero se non re-iterare in eterna eco l’originaria o costitutiva distinzione tra sé e sé: improcedibile e non ulteriormente intro-partibile o differentemente determinabile, permane presso lo stigma della propria partizione ipseitale e lì sta, endo-evacua a punto obs-cillando e inane tra i lembi della sua dis-secazione posizionale.

Indirettamente dunque così evocata l’essenza del fondamento (Vom Wesen des Grundes) dell’essente in totalità (Hypo-keímenon), procediamo adesso col dimostrarne l’originarietà (Arché) epperò l’omniavvolgenza (Umgreifende), il carattere proprio ebbene d’eccedenza inesauribile rispetto a ogni occorrenza particolare (Symbebēkós) necessariamente – autenticamente (Stérēsis) – compartecipantela (Méthexis) per essere distintamente e pienamente qualcosa (Héxis) e non semplicemente per essere pertenuta nell’eguaglianza con sé.

Ci si chiede, infatti, ora, ulteriormente: come può una de-terminata posizione di medesimezza stare presso la coalescenza del sé al sé o coerenza solo propria senza il già esserci dell’altro-da-sé? Ovvero: può l’identità essere la predicazione essenziale originaria dell’essente determinato? E, ancora, categorizzando l’essente: come può costituirsi alcuna particolare posizione identitaria se in principio si dà l’Identità? Dunque, e anzitutto: come può costituirsi la posizione identitaria stessa dell’Identità se ante ogni darsi si dà l’Identità?

Riedendo al nostro esempio invitto, pur invero nella vacuità del solo proprio riverbero tautologico, il “Sole” appare, si dà (es gibt), pur la posizione “Sole” pertanto in qualche modo si è già distaccata – e se ne è distacca, secondo necessità (katà tò Chreón), pena il non-poter-esserci stesso del Sole (Principium individuationis singularis), ammenda altresì, e anzitutto, ma qui ancora in prolessi, il non-poter-esserci di alcunché in generale (Principium individuationis universalis) – da ciò che la conteneva, cioè dall’Orizzonte estremo della predicazione, pur orbene, nell’attualità del tempo distintivo-predicativo tautologico – enantiodromicamente o riconvergendo (Epistrophé) all’Originario per via catafatica –, essa precisa posizione fu dispiegata in successione lungo la teoria dell’impressione onto-identiraria o della riduzione presso ecceità, resa epperò discreta tanto rispetto al Mondo già e im-mediatamente estendentesi oltre del Sole il limite del sé al sé coalito, quanto in relazione a ogni altra posizione nel Mondo già imposta sotto la presa dell’individuazione. Se, infatti, vi fosse esclusivamente il Sole, pur l’affermazione del Sole, e non d’altro, si dovrebbe poter in qualche modo, attuandosi o giungendo ad essere, s-tagliare – lungo l’assialità paradigmatica – dalla Potenza-della-impressione-in-posizione-di-qualcosa o a punto dal Tutto dinamico od orizzontale, apofatico o escate, della Predicabilità.

Ebbene, questa potenza immediatamente enantio-determinata non è null’altro se non il contraddittorio simmetricamente in principio tautologico della posizione o affermazione particolare, ossia, nell’esempio nostro mitraico, null’altro se non il Tutto affermatosi per negazione dalla posizione affermativa del Sole (Non-Sole), cioè a punto il contraddittorio del Sole, l’orizzonte della sua negazione in totalità, ovvero, ancora categorizzando – ma qui autenticamente – la negazione dell’essente determinato, l’Orizzonte della Negazione in Totalità o in-sé, lo Spazio altrimenti per il Tempo dell’E-vento del Disvolgersi della Differenza e autoctica e abissale.

Conseguendo dunque deuteriore conclusione: non la stessa posizione tautologica di alcunché può darsi senza il già in qualche modo esserci della Distintività o della Differenza, dell’Alterità o della Contraddittorietà.

Si provi ora – retrocedendo verso l’Origine alla ricerca dalla causa prima dell’identità dell’essente – a porre quale originaria la posizione dell’Identità-in-se-stessa: anzitutto, come affermato, non potrebbe che darsi e la posizione anapoditticamete principiale sua tautologica, e la posizione, parimenti esclusivamente propria o de-cisa dal (e determinata nel) porsi del sé, enantio-tautologica (“l’Identità è l’Identità”, “l’Identità non è la Non-identità”, “la Non-identità è la Non-identità”).

Ebbene, poiché tra l’Identità e la Non-Identità deve costituirsi distanza e distacco, Identità e Non-identità – posizione della Posizione e posizione della Non-posizione-della-posizione – sembrano in qualche modo dover entrambe essere sottese entro un orizzonte comune di relazione – l’Uno che con-rela Identità-e-Non-identità – che del pari le avvolge: per poter pertenere nella mediazione della distanza o presso l’adunazione nel distacco tali due posizioni, l’Orizzonte della Divergenza-dei-Due deve, infatti, con necessità porsi in mezzo tra loro, toccandole entrambe, cioè sogliale relazionandosi simultaneamente con esse due.

Ma frap-porsi tra ogni cosa (e ogni cosa) significa circondare tutto. E come si frap-pone questo Frap-ponentesi che tutto circonda? Certamente come il Ni-ente della posizione già distinta, egualmente ebbene giacché il Tutto della Potenza escate della partizione o dell’individuzione ancora ulteriore.[2]

Ora, che cos’è la Non-identità tautologica, ossia la Non-identità che null’altro entro sé distintivamente contiene (stante la posizione originaria o “unica” dell’Identità-in-sé), se non proprio questo orizzonte che da ogni parte avvolge il punto posizionale dell’Identità? Questo medio tra il sé e l’altro da sé della posizione originaria può essere ordunque l’Identità stessa? Può ovvero l’Identità frapporsi trae non-sé, mantenendo nel distacco (e mantenendo il Dis-tacco [Hiatus] tra) queste due posizioni? Può ovvero, in ultimo, l’Uno che co-alesce Identità-e-Non-identità essere – in sé o identitariamente, dunque unitariamente – Identità o Enadità?

Evidentemente no, poiché, in questo caso, si troverebbe a essere, simultaneamente, in relazione (positiva o di coerenza, in quanto la relazione d’esclusione, contraddistinzione o negazione implica l’esserci dell’Alterità, qui, de origine rogando, invece ipotizzata ancora non-essenteci), e con-sé, e con l’altro-da-sé. Ma, se l’Identità può stare e certamente in re-lazione con sé, proprio ciò (ossia Per-tenimento-in-co-erenza) essendo essenzialmente o insé (l’Identità-in-sé è infatti la posizione dell’immediata coalescenza o dell’immorsata sinchechia tra seità e inseità, l’insé dell’Identità essendo invero identità – dunque non distinzione – tra inseità e seità), assolutamente non può, per pari cogenza eidetico-distintiva, stare in relazione col Non-sé, se non a punto in una relazione di contraddizione o d’esclusione, di negazione o di avversione, ora, perí Archês, impossibile a darsi.

Dunque l’Identità – se in seguito si dà la distintività, e la determinazione qualitativa (dasein) dell’ente (tà pánta; tà ónta) qui e ora appare, meraviglia a vedersi (Thaûma Idésthai) – non può essere la posizione originaria, dunque l’Identità – quale in-sé Principio di Identità o coalescenza ipseitale dell’essente – non può essere il contenuto della posizione identitaria dell’Originario.

Si provi adesso, pertanto, a contrap-proporre la tesi che indica nell’Alterità (nella posizione ovvero dell’immanente divergenza o della devasta discretudine – immediatamente mediale – tra seità e inseità, l’insé dell’Alterità essendo invero diversità – dunque distinzione – tra inseità e seità) il contenuto della posizione dell’Originario, sicuramente sottoponendola alla medesima complusione che della curule dignità di fondamento ne indaga l’autenticità del cremisi trabeale.

Può, ordunque, l’Alterità frapporsi ovvero porsi in relazione positiva tra la posizione del sé e la posizione del non-sé? Certamente, immediatamente, la posizione del sé null’altro essendo – in essenza o precisamente in accordo al suo proprio contenuto identitario positivo – se non alterità o differenza trae sé. Ma come può mai, al contrario, porsi nella posizione parimenti positiva di medesimezza col sé, sè – Alterità-di-ogni-cosa-da-ogni-cosa – essendo la posizione principiale, ossia già essenteci ante il darsi stesso dell’Identità-di-qualcosa-con-qualcosa?

Ebbene, può pro-porsi di porsi infine incontraddittoriamente in essa relazione d’incontraddittorietà identitaria.

Se, pertanto, è immediatamente o nell’autocausazione omniprincipiale eguale a sé in quanto pro-posizione d’essere in estremo compiutamente eguale a sé, allo stesso tempo (áma synístatai kaì apoleípei) è – sempre o trascendentalmente – eguale a sé nell’insé (Pro-posizionalità), e non è – mai o storicamente – eguale a sé nel sé (Posizionalità), così epperò procedendolo, altrettalmente com-piendolo, ovvero imprimendo nella propria contraddittorietà o negazione (posizionalità o seità) viepiù o secondo l’ordine della distensione elenctica, tutta la contraddittorietà rispetto al contenuto della propria posizione, in principio specularmente proposizionale, di Proposizionalità-in-sé.

E, nondimeno, l’impressione processuale o teleologica d’incontraddittorietà alla contraddittorietà (seità o posizionalità) della Contraddizione originaria (inseità o Proposizionalità) non è forse proprio il distendersi via via (katà tèn toû Chrónou Táxis) della totalità dell’affermazione distinta, ebbene il Tutto autentico ovvero meontico-orizzontale dell’identità discreta?


Che cos’è infatti e immediatamente l’Alterità, oggetto di questo nostro attuale discorrerne, se non una posizione di identità? Ma come può essere sé (ed essere, giacché naturalmente l’autoctisi della Differenza coimplica immediatamente, sotto altra categoria inquadrando il medesimo Originario, l’antecedenza stessa del Ni-ente-dell’ente sull’Essere-dell’ente-in-totalità) ante la posizione della Posizione-in-coerenza-in-sé? A punto essendo sé (ed essendo semplicemente qualcosa) nella pre-supposizione di essere sé (e d’essere semplicemente qualcosa). Ma cosa implica, e con incontrovertibilità, tale carattere pro-posizionale assunto in principio dalla posizione del sé in sé Pro-posizionalità se non il processo stesso di riduzione completa presso piena posizionalità escate o incontraddittoria immobilità entelechiale di tale presupposizionalità concutente la posizione principiale della Pre-supposizionalità-in-sé?

E sia, raggiungendo l’ultima conquista dell’apodissi: la Contraddittorietà in sé, e solo essa, è intrinsecamente storica (Ge-schichte) così come solo essa può essere – e lo è autenticamente – autoprincipiativa, immanentemente Discorde o in concento nel Contrasto, quindi originaria, epperò, egualmente, destinale (Ge-schick).

Che cosa, infatti, sotto altri riguardi a rinforzarsi la storicità (Geschehen) immanente del Negativo assoluto, determina autenticamente l’evolversi del contenuto di ciascuna identità distintiva, dal grado 0 o tautologico pristino, se non l’ampliarsi via via dell’esclusivamente proprio (Non-A ≠ Non-B) momento negativo o contraddistintivo, l’identità positiva particolare non altro essendosi invero dimostrata se non il pertenimento-in-co-erenza del sé col sé dell’ente individuale lungo il percorso di determinazione o affermazione del sé dell’inseità Contraddizione categoriale o Negazione trascendentale attuantesi attraverso l’ordinarsi meraviglioso o il dispiegarsi completo di tutta la di essa affermatasi negazione o distintasi differenza?

Come, ovvero, in ultimo, questo medesimo ex-tendersi via via differenziativo del contenuto autentico d’identità di ogni posizione particolare può e deve essere inteso se non giacché il pro-gredirsi stesso del Mondo? E come, infine, tale diversificazione processiva della Terra (Erde) può e deve essere (ri-)compresa se non quale il prendere viepiù posizione contro – dunque autenticamente entro – il Cielo (Himmel) proletticamente omni-avvolgente di contraddizione o negazione del Niente-di-ogni-posizione-conciliata-o-coerente?

Ecco dunque che cos’è (ti estì), hic et nunc – quindi già nell’avanguardia stessa dell’Originario-in-Atto (l’O-mediato, l’eccenza sempre escato-orizzontale ovvero di tutto ciò che immediatamente ante-omnia-appare quale il Niente-estremo-del-tutto-dell’apparenza [ΔIÁ]) –, questo Sole che ora abbacinante si ostende innanzi a noi: è il non-essere ogni ente già determinato ovvero retrodeposto nella Totalità dell’F-immediato sin qui dimostratasi lungo il Sentiero del Giorno.

Il fuoco vive la morte della terra e l’aria vive la morte del fuoco, l’acqua vive la morte dell’aria, la terra la morte dell’acqua.[3]

Alberto Iannelli


* Originariamente pubblicato sulla rivista Consecutio Temporum
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1. «Il mondo pensato non può essere se non com’è pensato: pensato che sia, immutabile (nel pensiero che lo pensa). Ma noi, quando ci siamo affacciati nell’età moderna allo spirito come attività trascendentale produttiva di ogni oggetto dell’esperienza, ci siamo trovati in un mondo nuovo, che non è materia di esperienza, poiché non è pensato, ma ragione e principio di quanto si pensa; e non può essere governato esso stesso dalla legge, che è propria del vecchio mondo, nel quale rimangono chiusi tutti coloro che continuano a indicare il principio di non contraddizione come le colonne d’Ercole della filosofia». Giovanni Gentile, Teoria generale dello Spirito come Atto puro, Sansoni, Firenze 1938.

2. «Ed io mi ricorderò di te, e di un altro canto ancora». Omero, Inno ad Atena.

3. Eraclito, Fr. 76.