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Essere. Nulla. Divenire
In dialogo con Hegel  1  e Nietzsche  2 
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HEG: Nulla è ancora, e qualcosa deve divenire. Il cominciamento non è il puro nulla, ma un nulla da cui deve uscire qualcosa. Dunque anche nel cominciamento è già contenuto l’essere. Il cominciamento contiene dunque l’uno e l’altro, l’essere e il nulla; è l’unità dell’essere col nulla; — ossia è un non essere, che è in pari tempo un essere, e un essere, che è in pari tempo un non essere. Oltracciò l’essere e il nulla son nel cominciamento come diversi; poiché il cominciamento accenna a qualcos’altro; — è un non essere che si riferisce all’essere come a un altro; il cominciamento non è ancora; va, soltanto, nell’essere. Il cominciamento contiene dunque l’essere come quello che si allontana dal non essere, e lo toglie via; contiene l’essere come contrapposto al non essere. Ma, inoltre, quello che comincia è già; in pari tempo, però, non è ancora. Nel cominciamento, dunque, questi opposti, l’essere e il non essere, sono immediatamente uniti. Vale a dire che il cominciamento è la loro unità indifferente, indistinta. L’analisi del cominciamento ci darebbe quindi il concetto dell’unità dell’essere col non essere, — o informa riflessa, il concetto dell’unità dell’essere differente e del non essere differente, — oppure quello dell’identità della identità con la non identità. Questo concetto si potrebbe riguardare come la prima e più pura (cioè più astratta) definizione di Assoluto.

Si potrebbe forse affermare l’antecedenza del “puro nulla” rispetto all’Incominciantesi, stante il carattere e di abissalità o imprecondizionatezza, e di assolutezza o in-relazione all’altro che l’Originario im-mediatamente essenteci manifesta, se non fosse che, ed essa stessa predicazione di precedenza già, affermata, diverrebbe ri-condotta immediatamente entro l’orizzonte dell’Originario, precisamente quale deissi dell’antecedenza sua, ed esso stesso contenuto della predicazione di precedenza, ossia questo medesimo che si mostra nell’affermazione circa “il che cosa” o l’identità dell’antecedente l’Incominciantesi, già acquisirebbe immediatamente onticità, perciò stesso dimostrandosi impossibilitato a stare autenticamente nell’antecedenza (ovvero standovi inautenticamente, conseguente dunque giacché o in quanto antecedente), epperò entrambe esse posizioni o positive sinolarità andrebbero a costituire proprio e basamento e punto-di-relazione o condizionamento e dell’assolutezza e dell’a-bissalità dell’Originario invece sempre e viepiù e adesso stesso dimostrantisi an-apodittiche.

Il cominciamento, dunque, contiene in sé ex-clusivamente sé, ma esso contenimento individualmente distintivo si dà o identitariamente ad-una quale Se-parazione-del-sé-da-sé. Ecco che, nell’istante del Cominciamento, e qualcosa acquisisce onticità e significazione, forma e identità, uscendo e nell’Essere e nell’Identità, e — simul-tanemante (áma syn-ístatai kaì apoleípei) — ciò che conquista posizione e predicazione lo fa giacché Alterità-da-ogni-posizione, Negazione-di-ogni-ad-fermazione, immediatamente portandosi pertanto oltre la posizione originaria del Cominciamento, cioè dell’affermazione del se stesso o seità, e proprio e consentaneamente in direzione del contenuto di essa affermazione o in-seità. Non è perciò stesso esatto affermare che il Cominciamento contenga l’uno-e-l’altro — come se esso in sé fosse un’entità terza (= das Werden) e l’uno-e-l’altro fossero altre due entità (das Sein und das Nichts) la cui immediata o indistinta unione costituisse il Cominciamento stesso, o piuttosto l’Incominciantesi, in cui esse due sono ancora come indiscrete e in-ob-poste l’una-all’altra, per trovare poi, oltre il Cominciamento, distinzione —, bensì che esso contenga ex-clusivamente il sé, ossia l’Alterità-del-sé-col-sé, il Non-essere e l’essere-del-Non-essere, in unità identitariamente auto-distintiva (Én-Dia-Phéron-Eautõ). Non quindi, ulteriormente, nel Cominciamento essere-e-nulla sono come diversi, ma, piuttosto, l’Incominciantesi è la Diversità-in-sé, l’intrinsecamente ad-cennante epperò all’altro nell’ad-cennare al sé. L’Incominciantesi pertanto: si afferma, abissalmente; toglie simultanemante via sé dall’affermazione di sé; si ri-afferma o ritrova innanzi, ebbene pro-cede, in quanto Ulteriorità, Progressività o Alterità da ogni affermazione.

L’analisi dell’Incominciantesi epperò ci dà il concetto dell’unità dell’essere-della-Dif-ferenza-e-della-Dif-ferenza (= dell’essere-del-Non-essere-eguale-e-del-Non-essere-eguale), oppure quello dell’identità dell’identità-dell’Alterità-e-dell’Alterità (= dell’identità-del-Non-identico-e-del-Non-Identico). Questo con-cetto è certamente da riguardare come la prima e più pura definizione di Ab-soluto.

HEG: S’intende, o si opina, che l’essere sia anzi l’assoluto Altro che il nulla, e niente è più chiaro che la loro assoluta differenza, e niente sembra più facile, che di poterla assegnare. Ma è altrettanto facile convincersi che ciò è impossibile e che cotesta differenza è ineffabile. Quelli che vogliono star fermi alla differenza dell’essere e del nulla, si provino a dire in che consiste. Se l’essere e il nulla avessero qualche determinatezza, per cui si distinguessero, allora, come fu accennato, sarebbero un essere e un nulla determinati, e non già quel puro essere e quel puro nulla, che qui sono ancora. La loro differenza è quindi interamente vuota. Ciascuno dei due è in egual maniera l’indeterminato. La differenza non sta perciò in loro stessi, ma solo in un terzo, nell’intendere o nell’opinare. Ma l’intendere od opinare è una forma del soggettivo, e il soggettivo non si appartiene a quest’ordine di esposizione. Se non che il terzo, in cui l’essere e il nulla hanno la loro sussistenza, si deve presentare anche qui: è il divenire. È nel divenire che l’essere e il nulla sono come diversi: il divenire è solo in quanto essi sono diversi. Un tal terzo è un altro che l’essere e il nulla. Dire che questi sussistono solo in un altro, è dire insieme che non sussistono per sé. Il divenire è il sussistere tanto dell’essere, quanto del non essere. Vale a dire che il loro sussistere non è che il loro essere in uno. È appunto questo loro sussistere, che toglie insieme la loro differenza.

Certamente la Differenza si dà ex-clusivamente nel pertenimento-presso-posizione dei differiti: senza l’appuntarsi di entrambi i diversi presso la discretudine o determinatezza (Da-sein) del sé loro, non può darsi di essi relazione o congiunzione alcuna, ebbene differenza o distinzione. E nondimeno: è davvero possibile stabilire e tenere ferma l’affermazione, qui espressa, circa l’immediatamente — nel tempo dell’affermazione — manifestantesi esserci del “puro essere” e del “puro nullo”, parimenti circa l’immediatamente manifestantesi esserci della loro “eguale indeterminazione” o indistinzione unitaria, senza che già in qualche modo stia appuntato-presso-posizione ciò a cui esse affermazioni si riferiscono e congiungono? Patentemente no.

In che cosa dunque tanto das reine Sein che das reine Nichts possono avere sub-sistenza se non nella stessa Distintività od Orizzonte-di-determinatezza e del sé e dell’altro-da-sé? Nel dominio della Differenza (Pólemos) ogni Da-sein si mantiene diverso da ogni altro, ogni Da-sein e anzitutto l’esserci della Differenza stessa, immanentemente dia-versa da se stessa. È dunque in questo Iato o Spazio di Dia-versione (Diá, Zwischen) in-seitale che le de-terminatezze o gli esser-ci discreti obs-scillano (Ep-ampho-terízein, Werden) tra das reine Sein e das reine Nichts, o piuttosto, come innanzi, in maggiore fondatezza, tra l’esser-ci-originario-del-Non-esser-ci e l’esser-ci-ultimo-del-Non-esser-ci, tra l’originaria contraddittorietà della Contraddizione originaria e l’ex-trema in-contraddittorietà sua, egualmente tra l’originaria dia-ferenza o alterità della Dia-ferenza-in-se-stessa e l’ultima co-erenza o identità propria, ogni determinatezza o esser-ci discreto e non diversamente queste stesse determinatezze “puro essere” e “puro nulla”.

NIE: Se il movimento del mondo avesse una meta, questa dovrebbe essere raggiunta. Ma l’unico fatto fondamentale è questo: quel movimento non ha alcuna meta […]. Io cerco una concezione del mondo che renda conto di questo fatto. Il divenire deve essere spiegato senza ricorrere alla scappatoia di queste intenzioni finali […]. La “necessità” non ha la forma di una forza totale onnicomprensiva, dominante, o di un primo motore; ancora meno va intesa come qualcosa che determina necessariamente un valore. Perciò bisogna negare una coscienza complessiva del divenire, un “Dio”, per non collocare tutto ciò che avviene entro la prospettiva di un essere che ha in comune con noi sentimenti e sapienza, e tuttavia non vuole nulla: “Dio” è inutile, se non vuole qualcosa, e d’altra parte con Dio si pone una somma di dispiacere e di illogicità che abbasserebbe il valore complessivo del “divenire”; fortunatamente, manca precisamente una simile potenza che tiri le somme (un Dio che guida e vigila, un “sensorio complessivo”, uno “spirito totale” sarebbe la più grande obiezione contro l’essere). Più rigorosamente: non si deve ammettere alcun ente in generale — poiché, se lo si ammette, il divenire perde il proprio valore e appunto perciò appare come privo di senso e superfluo […]. 1) Il divenire non ha uno stato finale, non sfocia in un “Essere”. 2) Il divenire non è uno stato apparente; forse il mondo che è è un’apparenza. 3) Il divenire ha in ogni momento lo stesso valore: il suo valore totale rimane sempre uguale; in altri termini: il divenire non ha valore alcuno, poiché manca qualcosa su cui lo si possa misurare e in rapporto a cui la parola “valore” abbia senso.

Anzi-tutto, e anticipativamente: non può darsi motizione senza direzione. La stessa “perpetua” obs-cillazione si trans-la tra “stigmata” che ne de-limitano con necessità l’a-oristia tensiva. Se poniamo pertanto il Divenire quale perenne passaggio (Über-gang) dal punto alfa al punto beta, e se poniamo alfa quale punto del principio del movimento (e, stante l’esigenza della posizione della Distinzione, cioè, parimenti, della Di-lacezione o Iato, del Framezzo o “Diá”, senza la quale non vi sarebbe moto alcuno, ma in-sistenza nell’a-dimensionalità oltre cui non si può pro-cedere [e, nondimeno, non alcuna a-tomia può essere ed essere sé senza anzitutto dia-lacerarsi e tra sé e sé, e tra sé e il “mondo” altro], non può non darsi un principio, giacché l’indistinto o ingenerato Eterno è già “disceso” a determinazione da detti 2 “stigmata”: si dirà), allora beta sarà il télos di alfa, ovvero del moto di e-gressione dal principio (Prò-odos), mentre alfa sarà il télos di beta, ovvero del moto di ri-con-versione (Epi-strophé) al principio.

Così pensato nondimeno, ci si chiede se questo Divenire non sia piuttosto Eterna Stasi, cioè propriamente Essere: se infatti ciò che accade trans-corre — sempre — esclusivamente da alfa e beta e da beta ad alfa, ciò che permane nell’immanenza del trans-corrimento (Moné) non può che sempre incontrare il medesimo e non mai l’ulteriore o il differente (gamma). Affinché dunque vi sia autentico Divenire, è necessario che ciò che per-siste-nel-trans-corrimento sia il sempre dif-ferir-si del Dif-ferente-si e ciò non può darsi se non precisamente attraverso il pro-cesso teleo-logico di fondazione-nell’essere e di oltre-passamento di ogni onticità in direzione di essa stessità o essenza dell’Originario che sempre sub-siste in ogni trans-scendimento: se non vi fosse essere, affermazione, stasi, determinatezza, se non vi fosse altresì la dimensione del Divenuto e della sua certezza che non trema né recede, ciò che diviene sarebbe aperto alla presa della possibilità di non sempre divenire, egualmente di non sempre ad-prodare a posizioni differenti e ulteriori, giacché il già-raggiunto, se non stesse a punto saldo e in-concusso nel sentiero dell’in-contro-vertibilità od onticità, nel percorso altresì anzitutto scandito dalla distinzione del prima e del poi, si perderebbe nell’indistinzione con il non-ancora-rag-giunto, e il Divenire potrebbe ri-attestarsi sull’ex-attezza di posizione già im-poste (per questo, se, da un lato, il Divenire deve di necessità avere sempre lo stesso valore [il Divenire, se è, non può che essere Divenire, e non altro], dall’altro, non può non avere sempre un valore differente: simultaneamente quindi, sarà posto, nell’enantio-dromia dell’Originario che costitutivamente o identitariamente distanzia il sé dal sé, l’in-seità — o essere dell’essere o dell’identità — permane immutata, mentre la seità — o essere del non-essere o del contraddittorio — pro-cedere, in-crementalmente, e ciò in co-erenza al valore dell’in-seità stessa, Diversione, Non-essere, Contrad-dittorietà, Enadità-in-se-stessa-Di-visa).

Ma ri-attestarsi sull’ex-attezza di posizione già determinate, significa permanere nell’eguale, ma per-manere nell’eguale, per il Differentesi, significa non permanere nell’eguale a se stesso, cioè non essere in-sé, bensì perdersi nell’altro, epperò semplicemente non-essere, giacché ogni affermazione (= ogni realtà, ogni sub-sistenza) è ad-fermazione de-terminata (Da-sein). Ecco pertanto che il Di-venire, che può essere solo se ciò che diviene è il Differentesi in-sé o sempre, non può non già e da principio stabilire la dimensione dell’Essere, quel sentiero del Giorno ossia ove l’appunto sempre differente o differentemente distinto o via via ad-fermato essere-stato del Non-essere-essere-alcuno viepiù conferisce stabilità apo-fatica o impressione d’incontroversione al contraddittorio del contenuto di essa autoctica pro-lepsi originaria destinata(-si) a sempre e trascendentalmente ulteriormente pro-cedersi, ad-fermar-si, conquistarsi, dis-tinguersi, e ciò co-erentemente: cosa infatti può essere quel beta del primo necessario distanziamento dell’originario alfa se non l’auto-dis-tanziamento stesso suo, se non ovvero l’essere-del-Non-Essere? E cosa quel gamma, che rappresenta l’innovazione (= la nuova posizione di alterità) lungo esso necessario pro-cesso di contraddistinzione della medesima Me-onticità alfa, se non l’essere-dell’Essere-in-sé?

Postasi pertanto, affinché vi sia Divenire, la necessità e dell’esserci del Télos, e dell’esserci dell’orizzonte dell’Essere stesso, corre ora l’esigenza di indagare l’eventuale necessità dell’esserci della medesima finitudine, corre ora l’esigenza ovvero di verificare se vi sia anche la necessità del raggiungimento (die Reichweite) della meta, egualmente l’impossibilità del suo non-raggiungimento. Ebbene, se certamente non ogni meta determinata e particolare s’immorsa con cogenza d’ineluttabilità al proprio adempimento, non così può darsi per la categorialità della meta, ossia per l’in-seità del Télos: il Movimento teleologico (ma si è anticipato che ogni movimento è teleologico) che non tende a null’altro che al proprio medesimo tendere orientato, non può non compiersi, non può non raggiungersi (egualmente, si dirà, la Contingenza non può essere libera di non-essere con necessità libera e contingente), non può epperò non pro-tendersi sin là ove da principio si ad-tende, intrin-secamente pro-leptica (sul co-ad-partener-si, in seno all’Originario, di Teleologia inseitale e inseitale Anti-cipatorietà, si esaurirà nel corso del disvolgimento a venire): se il Divenire-in-sé non fosse infatti e da principio destinato a divenire-a-sé, invero se fosse e da principio destinato a non divenir-si, sarebbe da sempre aperto alla possibilità di non-divenire (e tuttavia, ulteriormente a precisarsi, ancora in predizione: essere da sempre aperto alla possibilità di non-divenire, significa non mai di-venire, giacché l’eterno, se è nel modo del possibile, è già nel modo della necessità), sarebbe, egualmente, da sempre nella presa della possibilità, quando che sia, di fissarsi, di per-manere nel medesimo, poiché, se vi fosse anche un solo in-stante in cui non avesse sé quale télos, in esso stesso attimo non avrebbe télos alcuno — giacché qualunque télos ulteriormente determinato non potrebbe che essere e télos, e questo télos, particolare entro il categoriale —, ma essere senza télos significa già non muoversi, non distanziarsi, non di-lacerare il qui tra il qui e l’oltre-il-qui, ma non muoversi, per il Divenire-in-sé, significa già non essere-sé, e non essere sé già non-essere-alcunché.

Dio sive Divenire teleo-logico: determinare il télos oltre il Télos implica senz’altro decidere del valore e dell’assiologia del procedere, ma ogni determinazione ulteriore della direzione o destinazione del divenire, egualmente ogni rapprendimento o in-stituzione de-posta lungo il sentiero del per-manere, non di-mora entro Necessità, poiché l’unica autentica Necessità, certamente si dirà in seguito, è e non può che essere la necessità del Procedere-verso-il-procedere stesso, in-crementalmente im-primendo-si il carattere dell’Essere, ossia del Necessario.

Si tratterebbe pertanto di stabilire se la decisione dell’Originario, e il suo im-mediato o im-manente ri-verbero tautologico, circo-scriva un orizzonte valoriale e “sensorio”, ovvero se il trans-scendentale possa essere definito “Dio”, seppur ab-solutamente mortale e inseitalmente volitivo. Ebbene, ogni valore determinato non può che avere la medesima relazione di dipendenza e discendenza dal categoriale di ciascun determinato orientamento o punto di tensione: l’ab-soluto valoriale, l’orizzonte omni-ad-ferrabile del valore, è e non può non essere la stessa determinazione — via via differente — del Valore (in-sé), cioè la stessa progressiva determinazione o im-pressione di precisione e dis-tintività del categoriale o trascendentale medesimo (= “Dio”). Se dunque l’ab-soluto del valore è la stessa creazione del valore, la dimensione del creato (altrettalmente la dimensione della “meta”) non ha assiologia alcuna (non si dà verticalità tra creazioni, non dandosi alcun orizzonte valoriale pre-stabilito a cui riferirsi, su cui “misurare” questo o quel valore determinato), giacché il “bene” non altro è se non l’ad-erenza all’essenza del Creare. Volontà di Creazione (= Potenza) è im-pressione d’essere al Di-venire: ecco l’unica necessità o stabilità (co-genza in-concussibile che nondimeno si dà e si dà a punto col carattere — certamente pro-leptico — dell’in-transcendibile, precisamente — progressivamente — incrementandosi in ogni e per ogni tentativo di affermarne il suo non-essere o la sua contraddittorietà, ebbene la sua contingenza tremida) su cui misurare ogni “valore”, ogni decisione, ogni creazione, ogni pensiero, ogni azione. Il movimento del Transcendentale dunque può essere predicato quale primo motore divino solo ed esclusivamente se si pone: 1) la sua necessaria destinazione alla determinazione; 2) la sua essenza di progressiva costruzione dell’essenza di sé attraverso il suo ex-sistersi che im-prime essere al suo altro o non-essere.

Alberto Iannelli


* Da DI . Attraversando l'Ultimo Orizzonte e Altro della Notte.
Epopea dell'Originario ed Epoche dell'Umano
, Aracne, 2020
Testo integrale    ➤ ➤ ➤


1. I passi di Hegel sono tratti da: Scienza della Logica, Edizioni Laterza, Bari 1974.

2. Il passo di Nietzsche tratto da: La Volont di Potenza, Bompiani, Milano 1994.
© Orizzonte
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In dialogo con Hegel  1  e Nietzsche  2 
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HEG: Nulla è ancora, e qualcosa deve divenire. Il cominciamento non è il puro nulla, ma un nulla da cui deve uscire qualcosa. Dunque anche nel cominciamento è già contenuto l’essere. Il cominciamento contiene dunque l’uno e l’altro, l’essere e il nulla; è l’unità dell’essere col nulla; — ossia è un non essere, che è in pari tempo un essere, e un essere, che è in pari tempo un non essere. Oltracciò l’essere e il nulla son nel cominciamento come diversi; poiché il cominciamento accenna a qualcos’altro; — è un non essere che si riferisce all’essere come a un altro; il cominciamento non è ancora; va, soltanto, nell’essere. Il cominciamento contiene dunque l’essere come quello che si allontana dal non essere, e lo toglie via; contiene l’essere come contrapposto al non essere. Ma, inoltre, quello che comincia è già; in pari tempo, però, non è ancora. Nel cominciamento, dunque, questi opposti, l’essere e il non essere, sono immediatamente uniti. Vale a dire che il cominciamento è la loro unità indifferente, indistinta. L’analisi del cominciamento ci darebbe quindi il concetto dell’unità dell’essere col non essere, — o informa riflessa, il concetto dell’unità dell’essere differente e del non essere differente, — oppure quello dell’identità della identità con la non identità. Questo concetto si potrebbe riguardare come la prima e più pura (cioè più astratta) definizione di Assoluto.

Si potrebbe forse affermare l’antecedenza del “puro nulla” rispetto all’Incominciantesi, stante il carattere e di abissalità o imprecondizionatezza, e di assolutezza o in-relazione all’altro che l’Originario im-mediatamente essenteci manifesta, se non fosse che, ed essa stessa predicazione di precedenza già, affermata, diverrebbe ri-condotta immediatamente entro l’orizzonte dell’Originario, precisamente quale deissi dell’antecedenza sua, ed esso stesso contenuto della predicazione di precedenza, ossia questo medesimo che si mostra nell’affermazione circa “il che cosa” o l’identità dell’antecedente l’Incominciantesi, già acquisirebbe immediatamente onticità, perciò stesso dimostrandosi impossibilitato a stare autenticamente nell’antecedenza (ovvero standovi inautenticamente, conseguente dunque giacché o in quanto antecedente), epperò entrambe esse posizioni o positive sinolarità andrebbero a costituire proprio e basamento e punto-di-relazione o condizionamento e dell’assolutezza e dell’a-bissalità dell’Originario invece sempre e viepiù e adesso stesso dimostrantisi an-apodittiche.

Il cominciamento, dunque, contiene in sé ex-clusivamente sé, ma esso contenimento individualmente distintivo si dà o identitariamente ad-una quale Se-parazione-del-sé-da-sé. Ecco che, nell’istante del Cominciamento, e qualcosa acquisisce onticità e significazione, forma e identità, uscendo e nell’Essere e nell’Identità, e — simul-tanemante (áma syn-ístatai kaì apoleípei) — ciò che conquista posizione e predicazione lo fa giacché Alterità-da-ogni-posizione, Negazione-di-ogni-ad-fermazione, immediatamente portandosi pertanto oltre la posizione originaria del Cominciamento, cioè dell’affermazione del se stesso o seità, e proprio e consentaneamente in direzione del contenuto di essa affermazione o in-seità. Non è perciò stesso esatto affermare che il Cominciamento contenga l’uno-e-l’altro — come se esso in sé fosse un’entità terza (= das Werden) e l’uno-e-l’altro fossero altre due entità (das Sein und das Nichts) la cui immediata o indistinta unione costituisse il Cominciamento stesso, o piuttosto l’Incominciantesi, in cui esse due sono ancora come indiscrete e in-ob-poste l’una-all’altra, per trovare poi, oltre il Cominciamento, distinzione —, bensì che esso contenga ex-clusivamente il sé, ossia l’Alterità-del-sé-col-sé, il Non-essere e l’essere-del-Non-essere, in unità identitariamente auto-distintiva (Én-Dia-Phéron-Eautõ). Non quindi, ulteriormente, nel Cominciamento essere-e-nulla sono come diversi, ma, piuttosto, l’Incominciantesi è la Diversità-in-sé, l’intrinsecamente ad-cennante epperò all’altro nell’ad-cennare al sé. L’Incominciantesi pertanto: si afferma, abissalmente; toglie simultanemante via sé dall’affermazione di sé; si ri-afferma o ritrova innanzi, ebbene pro-cede, in quanto Ulteriorità, Progressività o Alterità da ogni affermazione.

L’analisi dell’Incominciantesi epperò ci dà il concetto dell’unità dell’essere-della-Dif-ferenza-e-della-Dif-ferenza (= dell’essere-del-Non-essere-eguale-e-del-Non-essere-eguale), oppure quello dell’identità dell’identità-dell’Alterità-e-dell’Alterità (= dell’identità-del-Non-identico-e-del-Non-Identico). Questo con-cetto è certamente da riguardare come la prima e più pura definizione di Ab-soluto.

HEG: S’intende, o si opina, che l’essere sia anzi l’assoluto Altro che il nulla, e niente è più chiaro che la loro assoluta differenza, e niente sembra più facile, che di poterla assegnare. Ma è altrettanto facile convincersi che ciò è impossibile e che cotesta differenza è ineffabile. Quelli che vogliono star fermi alla differenza dell’essere e del nulla, si provino a dire in che consiste. Se l’essere e il nulla avessero qualche determinatezza, per cui si distinguessero, allora, come fu accennato, sarebbero un essere e un nulla determinati, e non già quel puro essere e quel puro nulla, che qui sono ancora. La loro differenza è quindi interamente vuota. Ciascuno dei due è in egual maniera l’indeterminato. La differenza non sta perciò in loro stessi, ma solo in un terzo, nell’intendere o nell’opinare. Ma l’intendere od opinare è una forma del soggettivo, e il soggettivo non si appartiene a quest’ordine di esposizione. Se non che il terzo, in cui l’essere e il nulla hanno la loro sussistenza, si deve presentare anche qui: è il divenire. È nel divenire che l’essere e il nulla sono come diversi: il divenire è solo in quanto essi sono diversi. Un tal terzo è un altro che l’essere e il nulla. Dire che questi sussistono solo in un altro, è dire insieme che non sussistono per sé. Il divenire è il sussistere tanto dell’essere, quanto del non essere. Vale a dire che il loro sussistere non è che il loro essere in uno. È appunto questo loro sussistere, che toglie insieme la loro differenza.

Certamente la Differenza si dà ex-clusivamente nel pertenimento-presso-posizione dei differiti: senza l’appuntarsi di entrambi i diversi presso la discretudine o determinatezza (Da-sein) del sé loro, non può darsi di essi relazione o congiunzione alcuna, ebbene differenza o distinzione. E nondimeno: è davvero possibile stabilire e tenere ferma l’affermazione, qui espressa, circa l’immediatamente — nel tempo dell’affermazione — manifestantesi esserci del “puro essere” e del “puro nullo”, parimenti circa l’immediatamente manifestantesi esserci della loro “eguale indeterminazione” o indistinzione unitaria, senza che già in qualche modo stia appuntato-presso-posizione ciò a cui esse affermazioni si riferiscono e congiungono? Patentemente no.

In che cosa dunque tanto das reine Sein che das reine Nichts possono avere sub-sistenza se non nella stessa Distintività od Orizzonte-di-determinatezza e del sé e dell’altro-da-sé? Nel dominio della Differenza (Pólemos) ogni Da-sein si mantiene diverso da ogni altro, ogni Da-sein e anzitutto l’esserci della Differenza stessa, immanentemente dia-versa da se stessa. È dunque in questo Iato o Spazio di Dia-versione (Diá, Zwischen) in-seitale che le de-terminatezze o gli esser-ci discreti obs-scillano (Ep-ampho-terízein, Werden) tra das reine Sein e das reine Nichts, o piuttosto, come innanzi, in maggiore fondatezza, tra l’esser-ci-originario-del-Non-esser-ci e l’esser-ci-ultimo-del-Non-esser-ci, tra l’originaria contraddittorietà della Contraddizione originaria e l’ex-trema in-contraddittorietà sua, egualmente tra l’originaria dia-ferenza o alterità della Dia-ferenza-in-se-stessa e l’ultima co-erenza o identità propria, ogni determinatezza o esser-ci discreto e non diversamente queste stesse determinatezze “puro essere” e “puro nulla”.

NIE: Se il movimento del mondo avesse una meta, questa dovrebbe essere raggiunta. Ma l’unico fatto fondamentale è questo: quel movimento non ha alcuna meta […]. Io cerco una concezione del mondo che renda conto di questo fatto. Il divenire deve essere spiegato senza ricorrere alla scappatoia di queste intenzioni finali […]. La “necessità” non ha la forma di una forza totale onnicomprensiva, dominante, o di un primo motore; ancora meno va intesa come qualcosa che determina necessariamente un valore. Perciò bisogna negare una coscienza complessiva del divenire, un “Dio”, per non collocare tutto ciò che avviene entro la prospettiva di un essere che ha in comune con noi sentimenti e sapienza, e tuttavia non vuole nulla: “Dio” è inutile, se non vuole qualcosa, e d’altra parte con Dio si pone una somma di dispiacere e di illogicità che abbasserebbe il valore complessivo del “divenire”; fortunatamente, manca precisamente una simile potenza che tiri le somme (un Dio che guida e vigila, un “sensorio complessivo”, uno “spirito totale” sarebbe la più grande obiezione contro l’essere). Più rigorosamente: non si deve ammettere alcun ente in generale — poiché, se lo si ammette, il divenire perde il proprio valore e appunto perciò appare come privo di senso e superfluo […]. 1) Il divenire non ha uno stato finale, non sfocia in un “Essere”. 2) Il divenire non è uno stato apparente; forse il mondo che è è un’apparenza. 3) Il divenire ha in ogni momento lo stesso valore: il suo valore totale rimane sempre uguale; in altri termini: il divenire non ha valore alcuno, poiché manca qualcosa su cui lo si possa misurare e in rapporto a cui la parola “valore” abbia senso.

Anzi-tutto, e anticipativamente: non può darsi motizione senza direzione. La stessa “perpetua” obs-cillazione si trans-la tra “stigmata” che ne de-limitano con necessità l’a-oristia tensiva. Se poniamo pertanto il Divenire quale perenne passaggio (Über-gang) dal punto alfa al punto beta, e se poniamo alfa quale punto del principio del movimento (e, stante l’esigenza della posizione della Distinzione, cioè, parimenti, della Di-lacezione o Iato, del Framezzo o “Diá”, senza la quale non vi sarebbe moto alcuno, ma in-sistenza nell’a-dimensionalità oltre cui non si può pro-cedere [e, nondimeno, non alcuna a-tomia può essere ed essere sé senza anzitutto dia-lacerarsi e tra sé e sé, e tra sé e il “mondo” altro], non può non darsi un principio, giacché l’indistinto o ingenerato Eterno è già “disceso” a determinazione da detti 2 “stigmata”: si dirà), allora beta sarà il télos di alfa, ovvero del moto di e-gressione dal principio (Prò-odos), mentre alfa sarà il télos di beta, ovvero del moto di ri-con-versione (Epi-strophé) al principio.

Così pensato nondimeno, ci si chiede se questo Divenire non sia piuttosto Eterna Stasi, cioè propriamente Essere: se infatti ciò che accade trans-corre — sempre — esclusivamente da alfa e beta e da beta ad alfa, ciò che permane nell’immanenza del trans-corrimento (Moné) non può che sempre incontrare il medesimo e non mai l’ulteriore o il differente (gamma). Affinché dunque vi sia autentico Divenire, è necessario che ciò che per-siste-nel-trans-corrimento sia il sempre dif-ferir-si del Dif-ferente-si e ciò non può darsi se non precisamente attraverso il pro-cesso teleo-logico di fondazione-nell’essere e di oltre-passamento di ogni onticità in direzione di essa stessità o essenza dell’Originario che sempre sub-siste in ogni trans-scendimento: se non vi fosse essere, affermazione, stasi, determinatezza, se non vi fosse altresì la dimensione del Divenuto e della sua certezza che non trema né recede, ciò che diviene sarebbe aperto alla presa della possibilità di non sempre divenire, egualmente di non sempre ad-prodare a posizioni differenti e ulteriori, giacché il già-raggiunto, se non stesse a punto saldo e in-concusso nel sentiero dell’in-contro-vertibilità od onticità, nel percorso altresì anzitutto scandito dalla distinzione del prima e del poi, si perderebbe nell’indistinzione con il non-ancora-rag-giunto, e il Divenire potrebbe ri-attestarsi sull’ex-attezza di posizione già im-poste (per questo, se, da un lato, il Divenire deve di necessità avere sempre lo stesso valore [il Divenire, se è, non può che essere Divenire, e non altro], dall’altro, non può non avere sempre un valore differente: simultaneamente quindi, sarà posto, nell’enantio-dromia dell’Originario che costitutivamente o identitariamente distanzia il sé dal sé, l’in-seità — o essere dell’essere o dell’identità — permane immutata, mentre la seità — o essere del non-essere o del contraddittorio — pro-cedere, in-crementalmente, e ciò in co-erenza al valore dell’in-seità stessa, Diversione, Non-essere, Contrad-dittorietà, Enadità-in-se-stessa-Di-visa).

Ma ri-attestarsi sull’ex-attezza di posizione già determinate, significa permanere nell’eguale, ma per-manere nell’eguale, per il Differentesi, significa non permanere nell’eguale a se stesso, cioè non essere in-sé, bensì perdersi nell’altro, epperò semplicemente non-essere, giacché ogni affermazione (= ogni realtà, ogni sub-sistenza) è ad-fermazione de-terminata (Da-sein). Ecco pertanto che il Di-venire, che può essere solo se ciò che diviene è il Differentesi in-sé o sempre, non può non già e da principio stabilire la dimensione dell’Essere, quel sentiero del Giorno ossia ove l’appunto sempre differente o differentemente distinto o via via ad-fermato essere-stato del Non-essere-essere-alcuno viepiù conferisce stabilità apo-fatica o impressione d’incontroversione al contraddittorio del contenuto di essa autoctica pro-lepsi originaria destinata(-si) a sempre e trascendentalmente ulteriormente pro-cedersi, ad-fermar-si, conquistarsi, dis-tinguersi, e ciò co-erentemente: cosa infatti può essere quel beta del primo necessario distanziamento dell’originario alfa se non l’auto-dis-tanziamento stesso suo, se non ovvero l’essere-del-Non-Essere? E cosa quel gamma, che rappresenta l’innovazione (= la nuova posizione di alterità) lungo esso necessario pro-cesso di contraddistinzione della medesima Me-onticità alfa, se non l’essere-dell’Essere-in-sé?

Postasi pertanto, affinché vi sia Divenire, la necessità e dell’esserci del Télos, e dell’esserci dell’orizzonte dell’Essere stesso, corre ora l’esigenza di indagare l’eventuale necessità dell’esserci della medesima finitudine, corre ora l’esigenza ovvero di verificare se vi sia anche la necessità del raggiungimento (die Reichweite) della meta, egualmente l’impossibilità del suo non-raggiungimento. Ebbene, se certamente non ogni meta determinata e particolare s’immorsa con cogenza d’ineluttabilità al proprio adempimento, non così può darsi per la categorialità della meta, ossia per l’in-seità del Télos: il Movimento teleologico (ma si è anticipato che ogni movimento è teleologico) che non tende a null’altro che al proprio medesimo tendere orientato, non può non compiersi, non può non raggiungersi (egualmente, si dirà, la Contingenza non può essere libera di non-essere con necessità libera e contingente), non può epperò non pro-tendersi sin là ove da principio si ad-tende, intrin-secamente pro-leptica (sul co-ad-partener-si, in seno all’Originario, di Teleologia inseitale e inseitale Anti-cipatorietà, si esaurirà nel corso del disvolgimento a venire): se il Divenire-in-sé non fosse infatti e da principio destinato a divenire-a-sé, invero se fosse e da principio destinato a non divenir-si, sarebbe da sempre aperto alla possibilità di non-divenire (e tuttavia, ulteriormente a precisarsi, ancora in predizione: essere da sempre aperto alla possibilità di non-divenire, significa non mai di-venire, giacché l’eterno, se è nel modo del possibile, è già nel modo della necessità), sarebbe, egualmente, da sempre nella presa della possibilità, quando che sia, di fissarsi, di per-manere nel medesimo, poiché, se vi fosse anche un solo in-stante in cui non avesse sé quale télos, in esso stesso attimo non avrebbe télos alcuno — giacché qualunque télos ulteriormente determinato non potrebbe che essere e télos, e questo télos, particolare entro il categoriale —, ma essere senza télos significa già non muoversi, non distanziarsi, non di-lacerare il qui tra il qui e l’oltre-il-qui, ma non muoversi, per il Divenire-in-sé, significa già non essere-sé, e non essere sé già non-essere-alcunché.

Dio sive Divenire teleo-logico: determinare il télos oltre il Télos implica senz’altro decidere del valore e dell’assiologia del procedere, ma ogni determinazione ulteriore della direzione o destinazione del divenire, egualmente ogni rapprendimento o in-stituzione de-posta lungo il sentiero del per-manere, non di-mora entro Necessità, poiché l’unica autentica Necessità, certamente si dirà in seguito, è e non può che essere la necessità del Procedere-verso-il-procedere stesso, in-crementalmente im-primendo-si il carattere dell’Essere, ossia del Necessario.

Si tratterebbe pertanto di stabilire se la decisione dell’Originario, e il suo im-mediato o im-manente ri-verbero tautologico, circo-scriva un orizzonte valoriale e “sensorio”, ovvero se il trans-scendentale possa essere definito “Dio”, seppur ab-solutamente mortale e inseitalmente volitivo. Ebbene, ogni valore determinato non può che avere la medesima relazione di dipendenza e discendenza dal categoriale di ciascun determinato orientamento o punto di tensione: l’ab-soluto valoriale, l’orizzonte omni-ad-ferrabile del valore, è e non può non essere la stessa determinazione — via via differente — del Valore (in-sé), cioè la stessa progressiva determinazione o im-pressione di precisione e dis-tintività del categoriale o trascendentale medesimo (= “Dio”). Se dunque l’ab-soluto del valore è la stessa creazione del valore, la dimensione del creato (altrettalmente la dimensione della “meta”) non ha assiologia alcuna (non si dà verticalità tra creazioni, non dandosi alcun orizzonte valoriale pre-stabilito a cui riferirsi, su cui “misurare” questo o quel valore determinato), giacché il “bene” non altro è se non l’ad-erenza all’essenza del Creare. Volontà di Creazione (= Potenza) è im-pressione d’essere al Di-venire: ecco l’unica necessità o stabilità (co-genza in-concussibile che nondimeno si dà e si dà a punto col carattere — certamente pro-leptico — dell’in-transcendibile, precisamente — progressivamente — incrementandosi in ogni e per ogni tentativo di affermarne il suo non-essere o la sua contraddittorietà, ebbene la sua contingenza tremida) su cui misurare ogni “valore”, ogni decisione, ogni creazione, ogni pensiero, ogni azione. Il movimento del Transcendentale dunque può essere predicato quale primo motore divino solo ed esclusivamente se si pone: 1) la sua necessaria destinazione alla determinazione; 2) la sua essenza di progressiva costruzione dell’essenza di sé attraverso il suo ex-sistersi che im-prime essere al suo altro o non-essere.

Alberto Iannelli


* Da DI . Attraversando l'Ultimo Orizzonte e Altro della Notte.
Epopea dell'Originario ed Epoche dell'Umano
, Aracne, 2020
Testo integrale    ➤ ➤ ➤


1. I passi di Hegel sono tratti da: Scienza della Logica, Edizioni Laterza, Bari 1974.

2. Il passo di Nietzsche tratto da: La Volont di Potenza, Bompiani, Milano 1994.