Nato a Milano (1991), ha studiato filosofia presso l’Università degli Studi della sua città e alla Universität Carl von Ossietzky di Oldenburg (Germania). Si è laureato in Scienze Filosofiche con una tesi sulla rivista «Antaios» presso la Cattedra di Estetica di Milano (Unimi), con cui tuttora collabora. È Professore incaricato di Estetica presso l’Università eCampus. Insegna “Filosofia contemporanea”, “Storia e cultura dell’esoterismo”, “Letteratura e storia contemporanea” presso Unitre Milano.
Ha curato saggi di W.I. Thompson, A.J. Heschel, J. Josipovici, E. Niekisch, J. Evola e A. Dugin.
È redattore di «Antarès – Prospettive Antimoderne» (Edizioni Bietti) e collaboratore di diverse testate, fra cui «Il Giornale OFF» e «la Biblioteca di via Senato». Suoi articoli e saggi sono apparsi su riviste scientifiche e divulgative e in diverse antologie.
Collabora come editor con diverse case editrici.
The main focus of our essay is on Martin Heidegger thoughts on art. We have concentrated our researches on The Origin of the Work of Art and on The Will to Power as Art (in Nietzsche) discovering in the aesthetic speculation of the German philosopher an elective place for a fruitful discussion of nihilism. Our research is based on the assumption that the ontological leading position of art, that has always been understood by Heidegger as the place of truth revealing, can lead to a positive oasis within the era of nihilism. In order to deeply understand this perspective, the comparison with Nietzsche and with the artistic solution against nihilism that he conceived, seemed to us an unavoidable task. This comparison and the analysis of Heideggerian texts prove that the complex hermeneutic of the Meßkirch author identifies art as the most suitable place for the appearance of the event (Ereignis) of the truth of Being. At the same time the precautionary philosophical position of Heidegger does not allow to recognize the specific modes that make possible to overcome nihilism. The background of Heideggerian theory always requires existential openness and availability to the “piety of thinking” and to the appearance of God.
Dunque, secondo Heidegger, ponendosi di fronte al quadro di Van Gogh lo spettatore:
Ossia nell'aletheia, nella verità che si dischiude entro la Lichtung, la radura che è evento (Ereignis) sim-bolico dell’incontro gnoseologico ed esistenziale fra l’ente e l’essere – pensato, tale evento, non solo come disvelatezza (Unverborgenheit) e disvelamento (Entbergung), manifestazione e donazione, ma anche come potenza del negativo, occultamento e velamento (Verbergung), ovvero dinamica apparizione del nascosto e, insieme, sottrazione dell’evidente.
Nell’autentica opera d’arte non si effettua, secondo Heidegger, una mimesis – riproduzione descrittiva – della realtà, come nella prospettiva medievale scolastica di corrispondenza (omoiosis, adaequatio) fra l'ente e la sua commisurata rappresentazione, bensì «nell'opera è in opera l'apertura dell'ente nel suo essere, il farsi evento della verità». Muovendosi agilmente nel circolo ermeneutico, Heidegger riesce così a giungere a un'affermazione centrale: nell'arte l'uomo può porsi a contatto con l'essere, che solo nel suo evento di svelamento/disvelamento si rende afferrabile – Ergriffenheit dirà Leo Frobenius in ambito storico-religioso26 – all’interno dell'opera d’arte per chi si dispone in essa come nella “radura” (Lichtung) ove soggiornare nell'Aperto (das Offene) dell'ente. È attraverso l'opera, dunque, che l'uomo può sperimentare il contatto con la verità, nella consapevolezza che essa non viene mai colta secondo volontà da parte di un soggetto che la com-prende come oggetto, come “ente che è”, ma piuttosto essa “si dà” in un rapporto evenemenziale, ossia come evento, come “accadere della verità”, all’esser-ci, il Da-sein nella sua autenticità (Eigentlichkeit), che è “protagonista” assoluto del fondamentale Essere e tempo.
L’appartenenza al Mondo è peculiarità essenziale del Dasein umano. Le creature del regno minerale, vegetale e animale sono “senza Mondo”, in quanto appartengono all’ambiente in cui si trovano senza esperire la “gettatezza” (Geworfenheit) nel Da, il “ci” storico e geografico che costituisce la relazione primaria fra ente ed essere. «La contadina, al contrario, – puntualizza Heidegger – ha un Mondo, perché soggiorna nell’aperto dell’ente».
È in questa concezione agonale, radicalmente greca, in senso eracliteo e nietzscheano, che Heidegger ripristina il significato ellenico di aletheia come disvelamento dell'essere, superandone la concezione obliante che da Platone fino alla modernità la intendeva come rettitudine nell'adeguamento del soggetto all'oggetto. La verità, superato l’“oblio dell’essere” (Seinsvergessenheit), si coglie nel non-esser-nascosto dell'ente, che non è uno stato abituale ma un evento (Ereignis).
Lontano da ogni metafisica sostanzialista e dualista, il filosofo di Meßkirch risponde all’appello – Anruf, direbbero i tedeschi – dell’essere nel suo semplice e luminoso splendore. L’arte diventa un congiungimento pontificale fra la manifestazione dell’ente-opera d’arte, nella sua natura “cosale”, fenomenologicamente esperibile, e lo spazio di apertura che è condizione di possibilità del suo stesso apparire. Il quale è lo spazio, la radura, della verità (Wahrheit come aletheia) dell’essere. All'uomo spetta la salvaguardia dell'opera, ossia la declinazione in ambito estetico della nozione di “cura” (Sorge) tematizzata in Essere e tempo.
Basta considerare queste asserzioni per cogliere nuovamente le diverse attitudini esistenziali, oltreché teoretiche, di Nietzsche e Heidegger, nonostante la comune valorizzazione dell’ambito artistico. Il primo si mostra risoluto nel rivendicare all'arte un ruolo principe nel superamento attivo del nichilismo e nella fondazione delle nuove tavole di valori a cui fa cenno in Così parlò Zarathustra. Per Heidegger, invece, secondo una posizione più cautelare, il problema del Nuovo Inizio, collegato alla sfida e al potenziale dell’arte, rimane come sfondo di possibilità per un evento futuro, dai tratti indefiniti. La questione dirimente rimane sempre la modalità stessa tramite cui pensare il problema della modernità, ossia l’inveramento dell’errore di fondo della metafisica occidentale, di cui il nichilismo, come la tecnica e il planetarismo, è espressione storica concreta.
Mai [...] troviamo in Heidegger una rivendicazione specifica e assertiva del ruolo trasfigurativo dell’arte novecentesca come concreta possibilità di oltrepassamento della crisi. L’arte come luogo di manifestazione dell’aletheia è infatti parte di quella esperienza e modulazione relazionale fra uomo e mondo che il moderno, segnato dall’“oblio dell’essere”, nega integralmente.
Un atteggiamento di attesa, questo, che nell’arte della domanda filosofica radicale, nell’interrogazione ermeneutica dell’essere, trova in Heidegger pieno inveramento. Il nichilismo attacca ogni lembo di Terra e Mondo. L’accelerazione del suo processo condurrà, nel compimento destinale, al rivelarsi archetipale del Nuovo Inizio, che è identità con l’Origine.
The aim of my research is to define the religious hermeneutics that can be identified as the specific core of Antaios (1959–71), the German journal directed by the historian of religions Mircea Eliade and by the writer and philosopher Ernst Jünger. Drawing on their insights, we will focus on the philosophical-religious interpretation of Antaios contents: the so-called “mythical-symbolic hermeneutics” is probably the most interesting theoretical theme connected to the Weltanschauung of Antaios. This cultural journal could embody a counter-philosophical perspective that is at the same time intrinsic to Western speculation. This position has repeatedly emerged in many phases of our cultural history. I refer here to mythical-symbolic thought, characterized by an analogical interpretation of the world, whose structure is considered a stratification of truth levels that are complementary ontological levels of reality. This tradition sees reality as a specific kind of totality that allows human perception to take place through the structures of myth and symbols. The theoretical unity of the project is rooted in the mythical-symbolic tradition that, starting from the religious and esoteric pre-philosophical meditations, spans Platonic thought, the various neoplatonisms, passes through medieval mysticism and alchemy, reappears in Romanticism and is revealed in the twentieth century by the reflections of the “thinkers of Tradition.” With this paper I would like to highlight the main topics that can be identified from this hermeneutics: speculations about symbol, myth, coincidentia oppositorum (coincidence of opposites), archetypes, and ontological pluralism. These are at the core of this paradigm.
The project of this kind of publication had already been developed by the publisher Ernst Klett in 1957—the same year in which the first personal meeting between Mircea Eliade and Ernst Jünger took place. Their agreement to collaborate on a new editorial project was genuine and based on common philosophical and methodological prin-ciples. Jünger lyrically explains in a famous letter to Eliade the philosophical perspective that, in his view, should the project: “Today, while the shining sun of Kant becomes more opaque, it is perhaps raising the dark one of his fellow citizen of Königsberg, Hamann” (Hakl 2007, 251). Here Jünger refers to Hamann, the so called “Wizard of the North,” as a philosophical and spiritual alternative to the Kantian legacy: the mystic and symbolic attitude of Hamann. His “dark sun,” that reminds the Christian mystical tradition of San Juan de La Cruz, might represent the favoured vehicle of a Western self-awareness renewal.
Even now, the current philosophical debate is in fact often disrupted by a rigid and fruitless opposition between analytic philosophy, in which the empiricist and positivist tradition converge, and postmodern philosophy, characterized by a prevalent pars destruens, in which genealogical analysis and critical perspectives summarize the history of Western philosophy, while annihilating its main truthful contents. As Edmund Husserl claimed in his studies (1996a, b), the first paradigm is destined to fall into naturalism, by forgetting the criticist perspective and the need for a deeply philosophi-cal discussion around the gnoseological requirements of every philosophical assumption; this theoretical paradigm is opposed to the second, which is linked to a relativistic and subjectivist view, one which denies the objective pole of reality and the notion of truth itself, inevitably falling back upon a radical view that precludes any genuine philosophical speculation. In this scenario, Antaios may represent a counter-philosophical perspec-tive that is at the same time intrinsic to Western speculation. This position has repeatedly surfaced in many movements of our cultural history. Here I particularly have in mind mythical-symbolic thought, characterized by an analogical interpretation of the world, whose structure is considered as a stratification of truth levels that are complementary ontological levels of reality. This tradition sees reality as a specific kind of totality (Ganzheit) that allows human perception to gnoseologically take place through the structures of myth and symbol.
Jünger states:
Who is this “son of the earth”? The answer is clear and fundamental: Antaeus. Distant from any materialist and biological prospective, Jünger becomes the defender of the Earth in its archetypal, symbolic and spiritual dimen-sion: to be on the side of Antaeus—the eponymous mythical giant of the journal—in fact means to look at the paradoxical transcendent immanence, to connect life, in its totality and organic unity, to the spirit, to experience the power of the chaotic, the shapeless and the elementary, to reappear, in a transfigured guise, into the horizons of the world—of an infinitely en-riched and extended world. This perspective allows to talk about Renovatio mundi as Jünger’s dreamed-for project: i.e. a renewal of our relationship with that mythical-symbolic world that secularized modernity has radically removed and forgotten.
The Antaios project can be therefore interpreted in light of the Greek myth: Antaeus is the hero of a philosophical and hermeneutical world-view according to which humanity needs to rediscover the spirituality of Mother Earth and her secrets, instead of the lighter Olympian dominion as represented by Heracles which had degenerated into modern rationality.
It is an analogical approach to phenomena which is capable of bringing together internal and external, subject and object, idea and matter, transcendence and immanence, fragment and totality. The intent that Jünger and Eliade shared with the many collaborators who participated in this project was to openly approach the microcosm as a pulsating and dignified life.
It is precisely in the mythical-symbolic dimension, therefore, that an ex-treme cognitive and spiritual possibility can be realized.
The structure of myth and symbol can achieve a fundamental role in this renewed philosophical proposal, and the Antaios worldview can represent an original enrichment of another kind of hermeneutics.