Laureato (per ora triennale) in Filosofia Teoretica. Studente e aspirante studioso del pensiero di Martin Heidegger, con un'attenzione specifica rivolta alle questioni del cosiddetto "secondo Heidegger": i temi del Nichilismo, della Tecnica, della Poesia non escludono tuttavia dall'orizzonte di interesse il lascito di Essere e Tempo ed il retroterra fenomenologico a cui, con una discontinuità più o meno velata, tutto ciò fa spesso riferimento.
Oltre ad Heidegger anche le opere di Ernst Jünger, Walter Benjamin, Carl Schmitt e Jacob Taubes si inseriscono a pieno titolo tra i riferimenti imprescindibili, anche e soprattutto per una lettura Politica, nel senso più nobile e meno attuale del termine, della loro eredità.
Un'ultima menzione doverosa va a Martin Lutero, autore di riferimento per quanto riguarda l'interpretazione della Scrittura, la sua peculiare "Teologia" e l'apertura di una via decisiva attraverso la spiritualità moderna.
L'interpretazione del pensiero di Jünger da parte di Martin Heidegger è senza dubbio stata per lungo tempo legata alle poche, seppur significative, battute di Oltre la Linea. In questo lavoro tenteremo invece di ricostruire i passaggi esterni a quel famosissimo saggio, mediante un confronto con il volume Ernst Jünger, edito da Bompiani nel 2013: in tale volume sono raccolte tutte le occorrenze nelle quali il filosofo si occupa direttamente dello scrittore.
Partiremo da un breve ritratto di Jünger fatto di cenni biografici, di un'analisi del contesto culturale della Rivoluzione Conservatrice e di un necessario passaggio su L'Operaio, l'opera con cui Heidegger intratterrà il confronto più diffuso. Seguirà poi la riflessione sui Colloqui del 1939/1940, una serie di incontri avvenuti in quegli anni all'università di Freiburg, a porte chiuse, aventi come tema proprio il pensiero di Jünger. Cercheremo poi di ricostruire le Annotazioni, una frammentaria serie di appunti di difficile lettura che tuttavia, una volta chiariti, ci offrono spunti fondamentali.
Passeremo poi alle ultime considerazioni, precedenti al saggio La Questione dell'Essere, che lasciano presagire già il loro sviluppo successivo, riguardante la questione del nichilismo e della tecnica. Concluderemo poi con alcune riflessioni di ordine teoretico sulla divergente convergenza teoretica e sulla convergente divergenza politica tra i due autori. Con questo lavoro vogliamo accendere una luce su una parte del pensiero di Heidegger che è rimasta troppo in secondo piano, nascondendo invece una serie di passaggi fondamentali per la sua articolazione.
Questo primo colloquio (Ernst Jünger, Der Arbeiter. 1932: Zur Einfuhrung 1939/40) funge da Introduzione agli altri quattro, tracciando le linee fondamentali di quelle che saranno le riflessioni successive. Nella sua ripetitività, questa Introduzione contribuisce a chiarire quali siano i pochi ma fondamentali passaggi della lettura heideggeriana di Jünger. L’apertura è interamente dedicata alla Grundstellung di Ernst Jünger, la Posizione Fondamentale, ovvero l’interezza e la totalità del suo pensiero. La Posizione Fondamentale di Jünger è già anche il suo limite estremo, “stimolante in modo affatto unilaterale, in larga parte inaccessibile e nei suoi fondamenti impensata e non fondata”. Egli ha, per Heidegger, il grande merito di immergersi profondamente nel “Reale Effettivo della volontà di potenza” tuttavia, tale “immersione”, non offre nessuna salvezza (Rettung). Il limite della Posizione Fondamentale di Jünger consiste nella sua incapacità di offrire un prospettiva ulteriore rispetto alla semplice, per quanto intensa, potente ed efficace, descrizione della realtà. Tale limite non è una semplice critica all’autore ma, come ci spiega lo stesso Heidegger, è “una necessita della storia occidentale”: il problema e quindi storico, riguarda la storicità stessa della metafisica nel senso di un’epoca in cui anche Jünger si trova, da cui non può semplicemente uscire, di cui non riesce a pensare fino in fondo la fine […]. La Posizione Fondamentale di Jünger può solo attuare una perfetta escursione della realtà, ma non può mai riuscire a guadagnare la giusta prospettiva di pensiero, quel pensiero che pensa a partire dalla Storia dell’Essere, poiché tale Posizione è ancora, inevitabilmente, Posizione Metafisica che ha quindi già sempre dimenticato l’Essere; non riesce e non può, pertanto, pensare a partire da quest’ultimo.
Per Heidegger, Jünger ha in questo modo intrapreso una delle due strade possibili riguardo al pensiero di Nietzsche: non essendo in grado di superarlo, ha scelto di farsi carico della realtà intesa come Volontà di Potenza.
Heidegger si chiede se siamo pronti a farci carico della Fine che apre il Nuovo Inizio, se sappiamo sufficientemente la nostra epoca, tanto da decidere del suo superamento, e nel chiedersi ciò parla al plurale. A chi si riferisce? […] Quel Noi che soggiace all’intera citazione si riferisce al Popolo Tedesco. Secondo Heidegger lo scontro fondamentale e tra le Potenze Occidentali, che combattono per mantenere la loro potenza, ed i Tedeschi, che invece “preparano un avvenire” […]. Il filosofo crede in un destino della Germania che, alla massima detenzione di potenza, deve decidere di accompagnare l’oltrepassamento della potenza stessa. Questa Entscheidung è decisione sull’essenza destinale dei Tedeschi, la cui risoluzione è donata dall’Essere stesso, non semplicemente prodotta e costruita.
Jünger può essere pensato solo a partire dal suo rapporto essenziale con Nietzsche. La sua esperienza prende piede nell’ambito metafisico già determinato dalla dottrina nietzschiana della Volontà di Potenza, egli sostituisce semplicemente, alla parola Willen zur Macht, il termine Arbeit: “quanto al suo che cosa ed al suo come, ogni ente e ‘lavoro’”. Il Lavoratore non è, quindi, nient’altro che il rappresentante umano di tale nuovo termine: sottratto ad ogni dimensione di classe o di appartenenza sociale, rappresenta la forma ultima dell’umanità, un’umanità che trova il suo compimento nell’ammaestrare l’ente nel suo insieme, che ha di fronte a se solo l’ente stesso, come pura possibilità di padroneggiarlo. Questa nuova Volontà di Potenza è rivolta esclusivamente al dominio incondizionato su tutto l’essente. Jünger è allora per Heidegger “l’unico vero successore di Nietzsche”, tanto da rendere vuota e superflua ogni interpretazione precedente dell’opera nietzschiana: la grande differenza, rispetto ad ogni lettura precedente, sta nel non aver assunto la Volontà di Potenza come dottrina filosofica, ma aver manifestato il proprio stesso pensiero come Volontà di Potenza. Ancora meglio, non si tratta di un semplice merito, o della capacita di rendersi simile a tale Volontà, nel caso di Jünger il suo pensiero è, già di per sé, una forma della Volontà di Potenza.
Fondamentale per il passaggio all’altro Inizio della Storia dell’Essere è il dibattimento (Auseinandersetzung) con la metafisica occidentale. Tale metafisica non è intesa da Heidegger nel senso di una semplice scuola di pensiero, di una visione del mondo, di una serie di dottrine, ma è anch’essa profondamente storica: la metafisica è un’Epoca, che inizia con la fine del domandare originario. I pensatori greci sono per il filosofo quelli che hanno veramente interrogato l’Essere, il loro pensiero è il Primo Inizio, successivamente occultato e dimenticato [...] È con la fine di questo Inizio greco che si apre l’epoca della metafisica, epoca quindi della dimenticanza dell’Essere (Seinsvergessenheit), in favore invece dell’ente. Al centro di questo colloquio c’è l’estremo opposto di quest’Epoca della Metafisica, c’è la sua Fine, la conseguente necessità di riuscire a pensarla è, con essa, il passaggio al Nuovo Inizio. In questo senso deve avvenire l’Auseinandersetzung con la metafisica, a partire dalla posizione di Nietzsche: finale ed estrema, anch’essa inscritta nella metafisica, questa interpretazione del reale è anche la più vicina a noi.
Inserirsi nella posizione metafisica fondamentale di Nietzsche, liberandola dalle storture e dalle strumentalizzazione posteriori, tanto romantiche quanto positivistiche, assumendo senza “filtri” la realtà effettiva che tale posizione svela, puntandone il cuore più autentico: questo, agli occhi di Heidegger, “l’unico significato storico di Ernst Jünger” […]. Egli ha in un certo senso “tradotto” la Volontà di Potenza con il concetto di Lavoro, descrivendone la pervasività nel mondo della Mobilitazione Totale. La stessa descrizione è, però, a sua volta determinata dalla Volontà di Potenza come Lavoro, il che innesca una circolarità in cui, per Heidegger, risiede il limite storico dell’analisi di Jünger: il carattere di Lavoro del mondo determina l’uomo in quanto Lavoratore, che a sua volta determina la stessa descrizione Jüngeriana del carattere di Lavoro del mondo rendendo Lavoro anche la descrizione, in un movimento circolare da cui è impossibile divincolarsi. Il pensiero di Jünger rimane cosi prigioniero del Lavoro (o, ormai è chiaro, Volonta di Potenza) reiterando e ribaltando quella che è per eccellenza la “colpa” iniziale della metafisica. Egli continua a tentare di descrivere l’essere ricorrendo all’ente, alla totalità degli enti come Lavoro, senza invece domandare il Sinn von Sein, il Senso dell’Essere, che è ontologicamente differente da un’indicazione dell’essere mediante la descrizione dell’ente.
Der Arbeiter non è solo un progetto politico, antropologico, sociale o culturale, Der Arbeiter è il volume che contiene l’ultima verità sull’ente nel suo insieme, l’ultima interpretazione metafisica dell’ente, quella cioè della Tecnica, di cui il Lavoratore si fa servo incondizionato, libero esecutore solo e soltanto della volontà di quest’ultima […]. Se Jünger scorge chiaramente l’ultima verità dell’ente, egli non vede l’appartenenza di ciò che descrive alla metafisica: oltre a non comprendere il fondamento della moderna Soggettività, a cui il lavoratore è totalmente ancorato, ciò che manca completamente e quel domandare a partire dalla Wahrheit des Seyns, la meditazione che fonda la decisione sulla differenza ontologica.
Per Heidegger l’unico rapporto possibile è un dibattimento radicale, un Auseinandersetzung: non un semplice punto di vista contro l’altro, ma la comprensione storica dell’ubicazione dei punti di vista. Solo da qui può svilupparsi una decisione originaria sul pensiero di Jünger, fornendogli la giusta posizione all’interno della Storia della Metafisica.
“Wo aber Gefahr ist, wachst das Rettende auch” (Dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva, Hölderlin). Queste due righe suggeriscono ad Heidegger qualcosa che ha un’affinità particolare con Jünger, qualcosa che non possiamo dire con certezza abbia una dipendenza diretta da quest’ultimo, ma che a nostro avviso mostra il medesimo atteggiamento: cercare nella Tecnica la possibilità della salvezza, che sia dell’umanità o dell’intera Storia dell’Essere, qui sta il fondamentale punto di contatto. Entrambi rifiutano la fuga, la negazione, la semplice critica, per farsi invece carico di un futuro che è già ampiamente presente con una spinta a cui è inutile tentare di porre un freno. Il modo in cui ciò avviene è certo già subito differente, con da una parte lo sfruttamento ed il dominio della realtà, dall’altra la meditazione profonda sulla sua essenza. Il rapporto con la Tecnica è quindi, alla luce di tutto ciò, paradossalmente la massima convergenza teoretica tra i nostri due “protagonisti”, mentre la direzione che prendono a partire da tale rapporto è ciò che innesca invece la più ampia divergenza. In Ernst Jünger la Tecnica è già l’Alba, che va certo saputa organizzare, ordinare, incanalare, ma va anzitutto oltrepassata e salutata come portatrice di enormi opportunità. In Martin Heidegger la Tecnica è ancora la Notte, anzi la Notte più buia, pertanto bisogna attraversarla, custodendo nell’oscurità la Verità dell’Essere da essa minacciata. In quanto Notte però, oltre che al pericolo estremo che l’oscurità diventi tenebra una volta per tutte, essa prelude anche alla possibilità della luce dell’alba. Nella Fine, quindi, l’annuncio di un Altro Inizio.